Regia di Peaches vedi scheda film
“Un film da discoteca”: così l’ha definito Andrea Inzerillo nella serata d’apertura del Sicilia Queer Film Fest 2014, e proprio per questo, non si è mai visto né si vede in giro nulla di simile. Quando si sente “film-concerto rock”, per di più su temi quali la transessualità, l’immediato collegamento è col classico The Rocky Horror Picture Show, ed effettivamente le associazioni, a livello concettuale, non possono non esserci. Si tratta di film dall’invadente ed impaziente scopo edonistico, che trattano di temi scabrosi (e provocatori in certi contesti culturali) non nell’atteggiamento arrogante di chi si crogiola nel compiacimento di infastidire lo spettatore, ma in un invito pacifico e senza mezzi termini a una maggiore apertura nei confronti delle proprie pulsioni e dei propri desideri, affinché le parti più recesse e nascoste di noi possano esplodere fuori, chiaramente sotto la buona stella di un anarchismo folle e spericolato. Peaches Does Herself, presentato già al Festival di Locarno del 2013, persegue quest’andamento traducendosi in un’onda di espliciti riferimenti erotici e magari, a detta dei più ben pensanti, “devianti”, in realtà espressione più diretta (e per questo più coraggiosa) dei propri istinti più profondi.
Concepito come una vera e propria opera rock, composta da una successione di canzoni composte e cantate proprio da Peaches, diva dell’elettroclash, Peaches Does Herself - potrebbe sembrare - mette semplicemente, una dopo l’altra, perversioni talmente trite e ripetute da perdere, durante la visione, la loro carica provocatoria (tutte le disquisizioni pro-falliche della vecchietta sempre semi-nuda); la realtà è che l’autrice-cantante-interprete ha ben altre intenzioni. L’incipit è in questo senso assolutamente funzionale all’interpretazione di quest’opera sperimentale, che però come molte sperimentazioni cade nel suo evidente intento di ambire all’originalità in tutto e per tutto, usando l’eventuale irregolare contenuto come pretesto per sfogare sentimenti a tinte forti e a volte inconcludenti. In ogni caso, in questo incipit si può vedere la protagonista nell’intento di comporre un nuovo pezzo. Trovata una nuova provocazione, ispirata dalla visione di una vecchietta che appare tra le grandi labbra di un enorme svolazzante sesso femminile, la sua immaginazione comincia a partorire figure sessualmente prominenti che elaborano bizzarre posizioni sessuali come all’interno di un’orgia surreale. Così inizia il tormento interiore di Peaches, che alla ricerca di una vera identità trasforma se stessa in transessuale, facendosi impiantare un fallo di proporzioni considerevoli, sulle note di uno dei pezzi musicali più riusciti e orecchiabili, Operate. Mentre la sua mente esplode sull’intero palco, tramite figure fuori sincrono che si agitano sulle note delle sue emozioni più immanenti e brutali, appare una figura efebica e straordinariamente suadente di transessuale, con cui intreccia immediatamente una relazione amorosa all’insegna dell’assoluta libertà. Il cambiamento carnale diventa, in Peaches Does Herself, sfogo delle proprie frustrazioni, e allo stesso tempo nuovo sogno, nuova illusione, costretta a rendersi conto che la materialità, con tutto il sentimentalismo che può fintamente destare, è solo un loop allucinante che porta alle peggiori – appunto - delle allucinazioni. In vista di questa nuova delusione amorosa, persa la concezione di se stessa, si mutilerà i segni distintivi della sua nuova sessualità (seno e fallo), e, scappata dal teatro, andrà in giro in bicicletta per urlare il suo dolore, con Fuck The Pain Away.
Il film è forte, eclettico, deforme, carico di una grande consapevolezza registica spesa in luci, performance e coreografie varie, tutte ad amplificare l’effetto sonoro delle ossessive ed efficaci musiche di Peaches. Non mancano infatti passaggi davvero efficaci, dal punto di vista visivo: l’orgia iniziale, il ballo con le maschere di Peaches, la danza di ballerini per metà sposi e per metà spose, il finale, che rompe il sogno e fa entrare in un labirinto quasi postmoderno che si avvale della ripresa amatoriale per conferire ancora più rudezza e brutalità all’immagine. Così, nonostante le varie costruzioni, e l’ostacolo di una invadente volontà sperimentatrice, Peaches Does Herself sprizza rabbia e sincerità da tutte le sue immagini. Per dare inizio alla rivoluzione sessuale dei costumi cui aspirerebbe, però, avrebbe dovuto concedere allo spettatore di entrare, e fare un qualche compromesso con lo stato costante di straniamento, che regna sovrano e inscalfibile, dunque un po’ snob. Gli animi candidi si astengano, comunque.
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