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The ABCs of Death

Regia di Nacho Vigalondo, Adrian Garcia Bogliano, Ernesto Díaz Espinoza, Marcel Sarmiento, Angela Bettis, Noboru Iguchi, Andrew Traucki, Thomas Cappelen Malling, Jorge Michel Grau, Yûdai Yamaguchi, Anders Morgenthaler, Timo Tjahjanto, Ti West, Banjong Pisanthanak vedi scheda film

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La recensione su The ABCs of Death

di pazuzu
6 stelle

Le 26 lettere dell'alfabeto per 26 registi diversi: una ciascuno, affidate d'ufficio dai produttori Ant Timpson e Tim League insieme a 5,000 dollari più 6 mesi 6 settimane e 6 giorni di tempo, con l'invito a farne le iniziali dei titoli di altrettanti cortometraggi da girare con la massima libertà artistica ma attenendosi al tema portante, ovvero la Morte.
The ABCs of Death nasce con i crismi della raccolta antologica, apparendo pretenzioso e al tempo stesso affascinante nell'assunto, ma catturando l'interesse già in partenza per via della qualità di alcuni dei nomi coinvolti, tutti per lo più giovani gravitanti nell'orbita indipendente e talvolta con alle spalle almeno un'opera di buon livello o di successo.
The ABCs of Death presenta tutto ed il suo contrario; ogni corto termina con una dissolvenza in rosso su cui ne è proiettato il titolo e l'autore, poi via in batteria col successivo: senza nessi logici da cogliere, lasciando che a susseguirsi siano stili ed approcci spesso palesemente disomogenei, spaziando dagli effetti analogici alla CGI, dagli animali antropomorfi agli sterchi assassini, dall'automutilazione all'exploitation, dall'animazione al torture porn, alternando episodi genuinamente spaventosi o anche solo piacevoli ad altri semplicemente idioti o francamente inguardabili, rendendo ostico in partenza, se non impossibile, qualsiasi discorso d'insieme più o meno strutturato.
È necessario, dunque, entrare nel dettaglio dei singoli segmenti.
 
Pronti via, ed è subito una delusione, con l'autore dell'interessante ma sovrastimato Los Cronocrimenes, Nacho Vidalongo, che in A is for Apocalypse [**] spreca il buon lavoro sul make up di Karina Arbulu per mostrare - senza neanche l'ombra di un po' di tensione - un maldestro uxoricidio al contrario seguito da uno 'spiegoncino' insipido.
Il secondo segmento (ancora in lingua spagnola), B is for Bigfoot [*½] di Adrián García Bogliano, è girato male e recitato peggio, fiaccamente verboso, prevedibile e piatto, con l'Abominevole uomo delle nevi evocato in un appartamento di Città del Messico dal racconto inventato da una giovane coppia al fine di spaventare e costringere a letto la cuginetta di lui per quindi potersi appartare.
In C is for Cycle [*] la camera a mano governata sciattamente da Ernesto Díaz Espinoza eccede in primi piani fastidiosi sulle espressioni ridicole di un attore impresentabile (tale Matías Oviedo) servendo pedestremente la messa in scena di un paradosso temporale stucchevole.
Nel successivo D is for Dogfight [**½] Marcel Sarmiento mostra una lotta clandestina uomo contro cane, telefonando la sorpresa finale e salvandosi solo parzialmente  grazie alla buona amalgama tra le immagini al ralenty e le sonorità industrial di An Adagio For Tandems Stacked dei Teargas & Plateglass.
Terminata la disastrosa processione degli ispanici è la volta della prima statunitense, l'attrice Angela Bettis, che si mantiene però sui medesimi livelli di mestizia con E is for Exterminate [**], descrivendo senza slancio la lotta impari tra un uomo ed un ragno invadente ed implodendo nel finale per via degli effetti digitali dilettanteschi di Michael "Ffish" Hemschoot, che annullano il buon lavoro sul suono di Jammes Luckett.
La prima incursione orientale spetta a quel Noboru Iguchi già responsabile del tremendo The Machine Girl, che in F is for Fart[*] (che sta per “scorreggia”) non si smentisce e continua a scambiare la demenzialità con la demenza, propinando un infimo pinku eiga a propulsione anale incentrato sull'apocalisse saffica di un'insegnante e di una sua alunna che ama esalare ed annusare peti.
L'australiano Andrew Traucki, proveniente da un paio di thriller acquatici, inforca una telecamera subacquea e in tre minuti scarsi gira G is for Gravity [*], soggettiva di un surfista che viene rapito dal mare: francamente inutile.
Dopo mezzora abbondante di frammenti che oscillano tra l'indecente ed il superfluo, le cose iniziano ad andar meglio con H is for Hydro-Electric Diffusion [***] del norvegese Thomas Cappelen Malling, un cartoon in live action surreale e sopra le righe con un uomo e una donna nelle parti di un bulldog pilota dell'aviazione inglese e una volpe spogliarellista nazista sullo sfondo della seconda guerra mondiale.
Neanche il tempo di respirare che si torna a raschiare il fondo col crudo I is for Ingrown [*½] del messicano Jorge Michael Grau, dove in una vasca da bagno si compie un efferato femminicidio mentre la voce fuori campo della vittima filosofeggia cercando la metafora ma scadendo nel ridicolo.
Le buone sensazioni tornano con Yudai Yamaguchi (autore del suggestivo Versus) che in J is for Jidai-geki [***] ricorre ad un'ironia vistosa per svuotare con provocatoria leggerezza il seppuku di ogni sacralità.
Col cortometraggio successivo si passa ad un'animazione piuttosto convenzionale e ad un umorismo scatologico che fa presto cadere le braccia: è K is for Klutz [*½] del danese Anders Morgenthaler, e protagonisti sono una donna e lo sterco che ha appena evacuato e che non vuol saperne di lasciarsi scaricare.
Arriva con la lettera "L" il migliore tra gli episodi di marca asiatica: il regista è l'indonesiano Timo Tjahjanto, che dopo essersi fatto valere in tandem con Kimo Stamboel sotto lo pseudonimo di Mo Brothers nel sanguinolento Macabre decide di mettersi in proprio per i sette deliranti e perversi minuti di L is for Libido [****], dove una platea di gente in maschera osserva due uomini legati a delle seggiole in legno masturbarsi: vince chi eiacula prima, e l'avversario finisce impalato seduta stante e rimpiazzato da un altro per un nuovo duello, mentre il palco che inizialmente ospitava donne nude per favorire l'eccitazione degli sfidanti vede susseguirsi con l'avanzare dei livelli scene via via più raccapriccianti ed estreme, in un vortice di depravazione deformante e distruttivo che non lascia scampo.
All'episodio più lungo segue quello più breve, M is for Miscarriage [**] dello statunitense Ti West, che si limita ad un minuto e mezzo e, mal servito da una fotografia fin troppo spartana, getta letteralmente nel gabinetto un'ideuzza che con uno sviluppo più degno poteva diventare inquietante.
N is for Nuptials [**½] del thailandese Banjong Pisanthanakun (Shutter, Alone) porta sullo schermo la storiella semplice ma divertente di un pappagallino fin troppo loquace a causa del quale il romanticismo di una proposta di matrimonio finisce affogato nel sangue.
O is for Orgasm [**] di Bruno Forzani e Hélène Cattet vuol descrivere il piacere sessuale femminile con stile freddo e plastico, ma nonostante proponga immagini ricercate e un sonoro potente si rivela velleitario e inconsistente.
Scenari di ordinaria miseria la fanno da padrone in P is for Pressure di Simon Rumley [**], ma il racconto (una prostituta disposta a tutto pur di trovare i soldi per regalare una bicicletta alla figlia) non riesce a ingranare, e si conclude con un colpo basso contestualizzato piuttosto superficialmente.
Il regista Adam Wingard si consulta con lo sceneggiatore e produttore Simon Barrett sul ruolo del loro corto all'interno del progetto in Q is for Quack [**½], intermezzo metacinematografico e autoironico che fa indubbiamente simpatia ma proprio non sa sorprendere.
In R is for Removed di Srdjan Spasojevic [***½], autore del controverso A serbian film, la fuga da un ospedale di un misterioso uomo sottoposto a degli esperimenti è resa visibilmente accattivante dalla splendida fotografia del fido collaboratore Nemanja Jovanov, tutta giocata sul contrasto di tonalità rosse acide su grigi ammantati di blu; il regista evidenzia la consueta perizia tecnica ma il suo prodotto, pur discreto, sembra necessitare di un maggior sviluppo e dunque pagare il dazio di una durata troppo breve.
In S is for Speed [*] del britannico Jake West la Morte in persona monta su un pick up e insegue per il deserto una donna che sfreccia su un'auto di lusso, in un guazzabuglio imbarazzante che nel finale si rivela come una pretestuosa e barbara metafora della tossicodipendenza.
La paura di un bambino nei confronti del water è prima testimoniata da un sogno splatter e poi certificata da un tragico incidente in T is for Toilette [****] di Lee Hardcastle, un vero gioiellino di claymation, ovvero plastilina animata frame by frame, deliziosamente macabro, esilarante e perfido: inserito per ultimo nel progetto dopo aver vinto un contest aperto appositamente sul sito ufficiale del film, è indubbiamente uno dei primi in quanto ad inventiva, originalità e cinismo.
La ripresa in soggettiva, che aveva pesantemente deluso con la terribile lettera "G" di Traucki, trova una ragione d'essere nel più sostanzioso U is for Unearthed [***] dell'inglese Ben Wheatley, che con discreto stile riprende gli ultimi attimi della vita di un vampiro secondo la sua stessa prospettiva.
Solitamente attivo con i comics, il canadese Kaare Andrews in V is for Vagitus [**] ambienta in una Vancouver orwelliana del 2035 una storia di ribellione che ruota attorno ad una poliziotta sterile dallo spiccato istinto materno, un androide spietato e un bebé telecinetico: con un discreto dispendio di mezzi ma anche appeal ed impatto emotivo vicini allo zero.
Con W is for WTF! [**½] arriva il secondo segmento metacinematografico, un patchwork folle - più curioso che divertente - nel quale lo statunitense Jon Schnepp frulla trichechi giganti, clown-zombi e frammenti d'animazione.
X is for XXL [*½] porta sullo schermo la disperazione di una donna obesa che, stanca di venir derisa da chiunque e bombardata da spot che marcano la sua diversità, decide di fare l'ultima scorpacciata e poi strapparsi via i chili di troppo con un coltello e un seghetto elettrico: il sopravvalutato regista di Frontiers, Xavier Gens, sottolinea la sua passione per l'esasperazione del dolore accanendosi prima sulla psiche della protagonista e poi sul suo corpo; inattendibile nei presupposti, sadico e gratuito nella rappresentazione.
In Y is for Youngbuck di Jason Eisener [****] i destini di un bambino, un cervo ed un bidello pedofilo sono tenuti insieme dal filo rosso della violenza; l'autore di Treevenge e Hobo with a Shotgun mette in scena una nuova vendetta color pastello, stavolta senza dialoghi né rumori d'ambiente, ma nella forma di uno slow motion di beffarda eleganza visiva accompagnato dal gusto retro dell'electro synth pop del brano Vengeance dei Power Glove.
La chiusura spetta all'overdose di cattivo gusto del giapponese Yoshihiro Nishimura, grande creatore di effetti speciali prima ancora che regista, il cui Z Is for Zetsumetsu [***] (che vuol dire "estinzione") propone un incubo futuristico disturbante e trash, con peni-baionetta che sputano riso, vagine che sparano carote cipolle e patate, e tette tatuate con la raffigurazione dell'undici settembre (le torri da un lato, un aereo dall'altra) in una grottesca orgia sessual-culinaria e anticapitalista.
 
Nata dallo sforzo comune di Magnet Releasing, Drafthouse Films e Timpson Films Productions, The ABCs of Death è un'opera altalenante e discontinua per concetto, nella quale non si può non sottolineare l'abisso che separa la pochezza e la grossolanità del maggior numero degli episodi, alcuni dei quali - specie nella terribile prima mezzora - meriterebbero lo skip preventivo (C is for Cycle di Espinoza, F is for Fart di Iguchi, G is for Gravity di Traucki, ma anche S is for Speed di Jake West), dall'elevato livello di una netta minoranza di altri che si ergono per distacco (L is for Libido di Tjahjanto, T Is for Toilet di Hardcastle, Y Is for Youngbuck di Eisener).
Emettere un giudizio riassuntivo che possa essere coerentemente adattabile ad ogni parte di The ABCs of Death è operazione che va oltre i confini della logica: è tuttavia lecito manifestare un senso complessivo di smarrimento e delusione per lo stato attuale di un genere che, accanto a figure di sicura qualità ed avvenire, vede acquistar credito e moltiplicarsi un plotone di altre senza arte né talento.

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