Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Secondo Mereghetti, in questo film Buñuel non risparmierebbe «strali contro la famiglia». Visto il film, a me pare, al contrario, che si tratti della regia alimentare (evento non infrequente nel periodo dell'esilio messicano) di un melodramma popolare, di impianto fondamentalmente moralistico e a lieto fine. Di strali all'istituzione familiare se ne vedono ben pochi, se non nella descrizione dello squallore della famiglia del contadino beone cui viene affidata la piccola Marta.
La struttura del film è composta da un momento tragico iniziale (la scoperta, da parte di Don Quintin, della tresca della moglie e del conseguente rapimento della figlioletta), da una parte centrale di abbrutimento morale del protagonista (il Don Quintin amareggiato del copione originario) e dall'agnizione finale, come nella commedia classica di derivazione terenziana e plautina. Tutto, alla fine, torna in seno alla famiglia, come dimostra l'abbraccio conclusivo a tre fra Don Quintin, la figlia Marta e il genero Paco.
Regia alimentare, dunque, moralismo familista, commistione tra elementi tipici della tragedia (il tradimento, il ratto dell'infante, la cacciata della moglie fedifraga, il rifiuto del perdono alla morente ecc.) ed elementi della commedia. Su quest'ultimo versante, è fondamentale il ruolo di Angelito e di Jonròn (o meglio: Home Run), una coppia in funzione comica, a metà strada tra gli aiutanti dell'agrimensore K. del Castello di Kafka e Gianni e Pinotto.
Si dovrebbe concludere, quindi, che la mano di Buñuel, semplicemente, non c'è. A parer mio, però, non è così. Primo, perché certi ambienti non sono dissimili dagli scorci descritti dal regista spagnolo nelle sue opere del periodo messicano: non dobbiamo dimenticare che uno dei primi film girati in Messico da Buñuel è I figli della violenza (1950), opera di crudo realismo, e che pertanto negli anni in cui fu girato La hija del engaño, volente o nolente questa era la cifra stilistica del regista. Secondo, perché alcune sequenze sono montate in modo da chiudersi in modo sghembo e comunque differente da come ci si aspetterebbe in un melodramma, nel senso che spesso si concludono un po' prima o un po' dopo rispetto al previsto, in maniera da inquietare lievemente lo spettatore in relazione alle attese create. Terzo elemento da considerare è che Don Quintin, un uomo di una certa età sposato con una donna assai più giovane (come i veri genitori di Buñuel) è un tratto autobiografico nonché una costante dei film del regista, a maggior ragione poiché quel personaggio è interpretato da un attore, Fernando Soler, che per aspetto e movenze anticipa e somiglia al Fernando Rey che interpreterà alcuni dei capolavori del regista, tra i quali Viridiana (1961) e Il fascino discreto della borghesia (1972).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta