Regia di Joshua Oppenheimer, Christine Cynn, Anonimo vedi scheda film
L'opera rievoca l'eliminazione fisica di circa un milione di comunisti nella Indonesia del presidente Suharto fra il 1965 e 1966.
Un milione di oppositori al regime uccisi con il complice silenzio delle cosiddette democrazie occidentali, senza distinzione per sesso o età.
In un Paese in cui i responsabili dei crimini sono considerati persone stimate (oggi ancora a capo di organizzazioni paramilitari), non c'è da stupirsi se il documentario racconta la storia dal punto di vista dei due principali massacratori, Anwar Congo e Adi Zulkadry.
Essi diventano sceneggiatori e attori contemporaneamente, illustrano strategie e modalità per commettere i loro delitti ed impersonano a volte se stessi a volte le loro vittime (dato che la paura di essere etichettati comunisti in Indonesia è ancora talmente forte da impedire a molte persone anche l'atto stesso di "simulare" di essere un oppositore del regime).
Ed ecco che il film in un certo senso comincia a diventare nel suo svolgimento uno strumento catartico per quelle coscienze assopite, risvegliando dubbi e interrogativi a volte anche angoscianti e facendo emergere qualcosa che potrebbe assomigliare a un rimorso (specialmente in Anwar).
Oppenheimer costruisce un'opera che alla sua uscita nel 2012 fece parlare intensamente della questione, sia in termini politici e umanitari, sia per le modalità scelte per la narrazione.
Candidato persino all'Oscar nella edizione del 2014, in realtà vinse "solo" un premio BAFTA per la categoria miglior documentario.
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