Regia di Joshua Oppenheimer, Christine Cynn, Anonimo vedi scheda film
Quando ho visto questo film ho pensato di aver assistito ad un capolavoro. Lo penso tuttora.
E' il classico esempio di come a volte il potere della parola legato al ricordo possa essere altrettanto evocativo quasi come vedere gli avvenimenti descritti. Perchè non sono avvenimenti usuali da raccontare, se non altro perchè le scene dei massacri e delle torture del colpo di stato in Indonesia negli anni sessanta non vengono raccontati dalle vittime, bensì dai loro carnefici e torturatori.
Senza un briciolo di pentimento e di rimorso rievocano episodi oscuri della dittatura, la paura del pericolo comunista che in realtà copriva una costellazione variegata di oppositori da sterminare. I carnefici sono ancora lì con i loro racconti, rispettati ed idolatrati come degli eroi e sono "eroi" perchè la storia è scritta dai vincitori.
Non hanno rimorsi perchè ciò che hanno fatto era un dovere richiesto dal governo, ciò che facevano era giusto ed agendo come unità di paramilitari simili a squadroni della morte uccidevano tutti coloro che erano in odore di opposizione (surreale tutta la sequenza alla televisione nazionale, un po' come se alla Tv nazionale tedesca si facesse apologia nei confronti Himmler o Mengele per Auschwitz).
Viene naturale pensare alla Banalità del Male della Arendt, ma questo documentario, anche se improprio definirlo come tale, rischia e va oltre addentrandosi nel metacinema, cioé attraverso la rappresentazione delle loro gesta dirette ed intepretate da loro stessi. Il cinema era stato una sorta di ispirazione non solo nel loro quotidiano (vendevano biglietti al cinema) ma anche nel modo di fare e pensare ispirato alle pellicole che vedevano 8la definzione che danno alla parola gangster).
Nella rappresentazione di finzione (basato dal vero) il cinema con i suoi generi entra in maniera prepotente, distorcendo o caricando ma mantenendo quell'atto di uccidere che rappresenta l'essenza degli avvenimenti. E' come un gioco, ma dall'esito tragico perchè operando il ribaltamento dei ruoli, da carnefici a vittime, si ha la tragicità della visuale opposta e malgrado la consapevolezza della finzione, percepiscono chiaramente il disagio ed il terrore della situazione originale dove non c'era finzione o "cut". Un disagio che forse fa intravedere un barlume di un qualcosa chiamata coscienza.
A mio modesto parere The Act of Killing è il miglior documentario degli ultimi vent'anni.
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