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The Act of Killing - L'atto di uccidere

Regia di Joshua Oppenheimer, Christine Cynn, Anonimo vedi scheda film

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La recensione su The Act of Killing - L'atto di uccidere

di cheftony
9 stelle

Nel 1965 il governo indonesiano è stato rovesciato dai militari.

Chiunque si opponesse alla dittatura militare poteva essere accusato di essere un comunista: membri del sindacato, contadini senza terra, intellettuali e gli immigrati cinesi.

In meno di un anno e con l'aiuto diretto dei governi occidentali, vennero uccisi più di un milione di «comunisti».”

 

scena

The Act of Killing - L'atto di uccidere (2012): scena

 

Indonesia, 2005-2011: Joshua Oppenheimer è un regista statunitense (ma di origini danesi) arrembante, laureato ad Harvard in filmmaking e stabilitosi nell'arcipelago asiatico per motivi di lavoro. Qui ha modo di venire a conoscenza del turbolento passato locale e anche dell'attuale panorama sociopolitico, nel quale i reduci dei gruppi paramilitari (in particolar modo quelli della Pancasila Youth), che furono protagonisti delle purghe anticomuniste a sostegno dell'insediamento del dittatore Suharto, sono considerati degli eroi nazionali.

Ormai residente nell'arcipelago da tempo e con ottima padronanza della lingua indonesiana, Oppenheimer viene a contatto con uno dei tanti, tale Anwar Congo, vecchio apparentemente gioviale ed entusiasta all'idea di illustrare per via cinematografica i metodi coi quali trucidava con minor spargimento di sangue possibile i sospetti comunisti. Il regista sembra a tratti, almeno nelle fasi iniziali, aver “ingannato” gli aguzzini, candidamente affascinati al pensiero di un film in chiave epica che ripercorra le loro gesta con modalità di rastrellamento ispirate ai loro film hollywoodiani preferiti, proprio quelli che i comunisti avrebbero voluto mettere al bando e che invece tanto amava Anwar in gioventù.

Se ne genera invece un documentario (di cui Werner Herzog è uno dei produttori esecutivi, incentivato da una pre-visione di una parte del girato) privo di voce narrante, girato in ben cinque anni e abilmente montato senza seguire un ordine cronologico, con Anwar Congo che di tanto in tanto appare canuto e leggermente più consapevole (ma mai pentito) dell'orrore, fino a dei conati che sanno amaramente di fasullo o, quantomeno, di insufficiente…

 

I «crimini di guerra» sono definiti dai vincitori. Sono un vincitore! Quindi posso creare la mia definizione. Non mi serve seguire le definizioni internazionali. E, ancora più importante, non tutto ciò che è vero è buono.”

 

scena

The Act of Killing - L'atto di uccidere (2012): scena

 

Adi Zulkadry, amico di una vita di Anwar, è un altro preman contattato dal regista; preman è il corrispettivo indonesiano per il termine gangster e i paramilitari amano ricordare come esso derivi da “free man”, ad autoincensare ulteriormente il proprio ruolo nella liberazione del paese dallo spettro del comunismo. Più ancorato ad una visione relativista e apparentemente meno sbandato di Anwar, il baffuto Adi concentra la propria riflessione sulla banalità del male e sulla convinzione di aver fatto solo ciò che veniva ritenuto necessario per la realizzazione dei principi della Pancasila, caposaldo filosofico dell'odierna Indonesia.

In più di un'occasione, Adi sembra diffidente nei confronti di Oppenheimer e gira le scene di ricostruzione di torture e massacri con fare distaccato, forse sospettoso di essere al centro di un prodotto cinematografico di denuncia in chiave anti(para)militarista.

Le pantomime ricostruttive, leggermente plastificate e surreali anche a causa della fotografia (splendida, fin troppo) e dei voluti rimandi agli stilemi tipici dei film(etti) noti ai preman, con i carnefici spesso nei panni dei torturati non lasciano indifferenti ma non arrivano al cuore dell'orrore come invece è riuscito a fare Anwar Congo comportandosi in modo del tutto normale: condotto Oppenheimer su un tetto abbandonato dove praticava le esecuzioni, gli ha mostrato placidamente come uccideva con un filo intorno al collo del malcapitato manovrato attraverso un piccolo manubrio di legno e poi si è messo a danzare qualche passettino. Tremendo.

 

Le persone che ho torturato si sentivano come me qui? Posso capire come si sentivano le persone che ho torturato… Perché qui la mia dignità è stata distrutta… E poi arriva la paura, lì e subito!”

 

scena

The Act of Killing - L'atto di uccidere (2012): scena

 

Sono molte anche le scene oniriche dai colori sgargianti che danno vita a sogni e incubi di Anwar, restituendo scorci di una bellezza inafferrabile e in realtà sopraffatta dalla miseria.

Anwar Congo sembra in parte redimersi, ma la sua percezione è immatura, incompleta, viziata dalla differenza fra la finzione che lo vede protagonista (innocua al punto da coinvolgere i nipotini nella revisione di alcune scene girate) e la realtà, che vedeva un milione di disgraziati sacrificati in nome di giochi di potere in mani altrui. The act of killing” è un titolo volutamente ambiguo: significa “l'atto di uccidere”, ma anche “la messa in scena delle uccisioni”. Oppenheimer ha scelto Anwar come protagonista in mezzo a migliaia di elementi come lui perché lasciava trasparire qualcosa, ma già il titolo gioca sulla disparità di vedute; per chi è stato “vincitore”, nella maggior parte dei casi, è solo una recita, pure autocelebrativa. Ad ogni modo, Congo è riuscito a vedere il film ultimato (la versione director's cut dura ben 160 minuti) da una stanza d'albergo nel paese natìo e ne è rimasto molto toccato.

Fortemente osteggiato nella stessa Indonesia, il film di Oppenheimer, come l'autore stesso spiega, non fa luce su avvenimenti e cause risalenti al 1965 ma sull'Indonesia odierna e, per estensione, su tutte le società e sui singoli individui plasmati dalla repressione, dal terrorismo e dalla corruzione. Senza contare il silente ma comunque fortissimo accenno al ruolo avuto dagli Stati Uniti nel rovesciamento militare e nel mantenimento del regime di Suharto, senza dimenticare piccole realtà come il giornalista corrotto e “spia” per conto dei paramilitari, le collusioni fra la Pancasila Youth e alti membri del governo o la ritrosia ad esporsi dei poveri, degli sconfitti, dei sopravvissuti. È d'altronde proprio per questo motivo che Oppenheimer ha dovuto rivolgersi ai “vincitori” per il suo progetto e preferito celare il nome di molti collaboratori indonesiani, incluso un aiuto-regista, dietro degli anonymous che la dicono lunga, permeando quel lungo, doveroso silenzio che accompagna i titoli di coda.

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