Regia di Joshua Oppenheimer, Christine Cynn, Anonimo vedi scheda film
Il regista ha così introdotto il suo documentario: "Non voglio dire godetevi il film…". Perché non si gode, tutt'altro. "The act of killing" è stata in assoluto la visione più turbante e perturbante di tutto il festival, e anche di più.
Ho davvero tanta difficoltà a recensire questo film. Rischio di dire cose banali, e commetterei peccato mortale. Non si può parlare di bellezza, eccellenza, grandiosità. Non si può parlare di capolavoro. Di questo film non si può parlare affatto, non ci si riesce. Questo film va visto, deve essere visto. Da soli possibilmente. Dopo avrete poca voglia di parlare con eventuali compagni o di praticare qualsiasi tipo di attività. Nemmeno alzarvi dalla sedia. Ma tra poco ci sarà un'altra proiezione e vi chiedono gentilmente di lasciare la sala. Allora fate una passeggiata silenziosa, ma non per riflettere. C'è poco da riflettere, ciò che avete visto è molto chiaro. Non vi sono punti in sospeso, domande lasciate aperte. Rimarrete semplicemente turbati. Su due livelli. Uno cthulico: scoprire l’esistenza di questo tipo di persone e di questo tipo di governi deviatamente meritocratici vi darà il tormento per molto tempo. L’altro estatico: quello che è riuscito a fare il regista Joshua Oppenheimer con una telecamera (redimere l’Innominato) è qualcosa che va oltre la semplice definizione di arte terapeutica. Azzarderei miracolo, ma con molta dose di amaro.
Immaginate di vedere un film con gli stessi contenuti e la stessa ironia (alta) de “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin, “Il Dittatore” di Sacha Baron Cohen o “Il dittatore dello stato libero di Bananas” di Woody Allen. Ora immaginate che l’attore e il personaggio siano lo stesso individuo. Solo due persone in sala se la son sentita di ridere. Alla fine molti piangevano.
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