Regia di Nicolás López vedi scheda film
Disaster-horror-commedia: la contaminazione dilaga, i personaggi in ballo muoiono come mosche, trucidati nei modi più macabri. Mix furbo e stolto di generi che crea un guazzabuglio di sentimenti che spaziano dalla repulsione a tutto l’opposto. Una nuova furbata a marchio “eliroth”.
“Ibridare” i generi cinematografici può avere un senso, soprattutto se le idee narrative latitano e non si trovano soluzioni particolarmente ispirate per raccontare qualcosa di insolito o che non risulta ancora visto.
Ecco allora che la factory di Eli Roth - che qui non resiste alla tentazione e si ritaglia un ruolo di spicco come attore (lo ha già fatto in diverse e qualche volta pure eccelse occasioni, vedi Tarantino con i suoi Basterds) tra i personaggi della concitatissima vicenda - intraprende con molta astuzia la via del disaster movie, contaminandolo con situazioni da horror efferato che non concede scampo a nessuno.
Ma non solo: il film parte come una commedia sciocca, molto sciocca, praticamente insopportabile nel seguire le gesta di un turista sopraggiunto in Cile per consolarsi del proprio fallimento matrimoniale, e dunque accorso a trovare un suo caro amico per concedersi un allegro week end “scopereccio” a Valparaiso, in compagnia di un tris di fanciulle splendide (una è pure Selena Gomez!!) quanto insopportabili.
L’amalgama frullata assieme produce un filmaccio di fatto scellerato (non solo all’inizio, quando sembra di trovarci nel bel mezzo di uno di quei reality vacui e snervanti che occupano tanta televisione odierna), ma forte, ci vergogniamo ad ammetterlo, di un appeal tale che non ci consente tanto facilmente di voltare canale o comunque interromperne la visione.
Il terremoto improvviso dà inizio alla catastrofe, che si vena dei colori cupi dell’horror quando, alla spietata sorte di molti dei comprimari - vittime esplicite e sadicamente mostrate delle mattanze che conseguono alla distruzione da sisma - segue l’assillo vorticoso per la ricerca della salvezza che rende i superstiti come topi affannati rinchiusi in una tana senza apparente via d’uscita.
L’incubo di pericoli annunciati (tra i tanti, l’evasione di pericolosissimi detenuti che, guarda un pò, non solo approfittano dei muri sfondati per darsela a gambe, ma trovano pure il tempo e la voglia per dimostrare ed ostentare quanta a cattiveria fine a se stessa tengono in corpo, quasi come in preda ad un ansia di responsabilità per giustificare la malvagità innata che li governa e conduce) fa indubbiamente crescere la tensione e lo sterminio puntuale e crudele, molto pulp, dei sopravvissuti quasi come fossero “10 piccoli indiani”, vira al genere horror puro e maligno che è sempre stato nelle corde e nel carattere, oltre che nello stile, di Roth.
Pur non essendo il sottoscritto particolarmente perspicace e brillante, la fine del film - ingannatrice e gaglioffa come si conviene - risulta intuibile già a metà film quando certe circostanze e minacce vengono rese note.
Di più non si può dire né rivelare, visto che il sadismo e la scaltrezza dominano già estrema abbondanza disseminate ovunque, per indulgere in tal senso.
Tra gli attori, quasi nessuno indimenticabile, la quasi nostrana Andrea Osvart riesce a fare la sua dignitosa figura, certamente in termini di presenza fisica, e comunque si appropria del ruolo centrale di tutta la vicenda. La regia, affidata ad un esordiente di apparenti origini ispanico-latine, fa il suo dovere rendendo concitata e incalzante l’attesa di qualcosa di peggio che viene sempre a pararsi dinanzi al sempre più sparuto gruppo di sopravvissuti.
Un filmaccio insomma, che tuttavia conserva, non si sa proprio se per merito o colpa, il potere perverso, la capacità innegabile di attaccare lo spettatore allo schermo senza riuscire a fargli distogliere l’occhio da una serie di vicissitudini spesso improbabili, assurde, ricattatorie, ma così abilmente confezionate, da costringere ad andare avanti fino alla fine.
Trovando la forza di mettere da parte qualche malcelato senso di colpa, come quando si mangia convulsamente un pacchetto di patatine gustosissime, ben sapendo che si tratta di irrimediabili schifezze, ma abili nel rendersi irrinunciabili al corruttibile palato.
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