Regia di Henri Verneuil vedi scheda film
Volete vedere Belmondo aggrappato sul cornicione mentre si sta rompendo? O sul tetto del treno, mentre si accuccia di scatto prima della galleria?
E' un buon poliziesco francese, cucito su misura per Jean Paul Belmondo, sia come personaggio che sulle doti atletiche che la parte comporta. Henri Verneuil dirige con mano sicura, sia le sequenze recitate che quelle d'azione. La migliore, a questo proposito, è l'inseguimento sui tetti di Parigi (e del treno) tra Belmondo e l'assassino. Il personaggio del maniaco telefonico ha popolato una tale quantità di film che non avrebbe senso chiedersi dove sia cominciata. Ma l'idea del castigatore di vizi e dello squilibrato con un'idea ossessiva e distorta dei peccati, o di un peccato in particolare, forse è cominciata proprio qui. Può darsi che mi sbagli; comunque i film successivi su assassini seriali che pretendono di punire e di fare giustizia su coloro che si macchiano di tali colpe compare in molti film successivi, anche americani, e costituiscono un vero e proprio filone.
Lo sceneggiatore Francis Veber, che avrebbe fatto carriera come regista di film comici con Pierre Richard e Gerard Depardieu, non inserisce in questo film alcun elemento di umorismo e ironia. C'è anzi una certa violenza (inferiore, comunque, ai coevi polizieschi italiani) e persino una punta di sadismo. Penso al delinquente che sta morendo dissanguato mentre il commissario insiste ad interrogarlo...
Veniamo ora ad un tema che percorre il film, e ne viene sviluppato fino alla fine, e alla tesi. Mi riferisco alla tematica che Freud chiamò repressione sessuale, coniando con ciò una teoria che ha avuto e ha ancora molta fortuna. Dallo psicanalista viennese in poi, la teoria secondo cui il contenimento dell'energia sessuale produce scompensi, nevrosi e persino desiderio di violenza e di omicidio ha percorso il 900, attraverso il 68 francese fino ad oggi. Questa pellicola, infatti, presenta un maniaco (ben reso come odioso dall'inteprete) che è stato oppresso dalla morale sessuale insegnatali in famiglia, la quale è sfociata nell'impotenza, nell'ossessione/odio per i lussuriosi (invidia?), e nel desiderio di farsi angelo vendicatore su di loro. Egli sostiene che persino la Chiesa e il cristianesimo sarebbero troppo morbidi verso questa perversione, e pertanto procede di persona ad uccidere coloro che se ne macchiano. La pellicola è quindi anche una lancia spezzata per la rimozione di ogni autodominio sessuale, che produrrebbe mostri come quello, fino ad un finale che lo spiega in un modo persino un po' didascalico. Ma questa tesi è alquanto debole: la mancanza di autodominio produce invece un costante aumento degli stupri sulle donne, da uomini sempre più giovani su donne sempre più giovani, fino a divenire oggi un'emergenza sociale. Questo messaggio discutibile è l'unico vero limite di un film altrimenti buono.
Una nota sul doppiaggio, infine. I doppiatori italiani sono tra le punte di diamante del nostro doppiaggio, purtroppo ormai trapassati: Pino Locchi per Belmondo (ha doppiato anche Sean Connery) e Ferruccio Amendola (che non ha bisogno di presentazioni), e qualche altro che tutti conoscono.
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