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Me Too

Regia di Aleksej Balabanov vedi scheda film

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La recensione su Me Too

di OGM
6 stelle

Venezia 2012 – Orizzonti. Vengo anch’io. No tu no.  Quattro uomini in auto, per non parlare della donna. Costretta a scendere e a correre nuda attraverso la campagna russa innevata, perché così prevedono le regole. La meta di questo bizzarro road movie alla Stalker è una chiesa diroccata, all’interno della quale si troverebbe una misteriosa fonte radioattiva della felicità. Non tutti sono destinati ad essere trasportati verso il paradiso, gli altri moriranno. Il suolo, in quella zona, è già cosparso di cadaveri. Il popolare regista russo Alexey Balabanov ci regala quella che sembra una stanca parodia del cinema metafisico, con una buona dose di monotonia e scarsi guizzi di ingegno. Mentre l’intento ironico sostanzialmente fallisce, riesce, anche se solo parzialmente, l’obiettivo di produrre un effetto ipnotico sullo spettatore, congelando il suo sguardo ed il pensiero nell’attesa di qualcosa di totalmente indefinito, che, nonostante tutto, è pur sempre in grado di alimentare la suspense e stuzzicare la curiosità. Il mistero, fino all’ultimo, resiste come remota illusione in fondo al tunnel nebbioso di un tran tran pseudofilosofico: un tragitto incentrato sul solito tema della miseria della condizione umana, che si esprime nell’alcol, nella vecchiaia, nella depravazione. Quest’ultima è quella che accomuna un bandito dal grilletto facile e – con una nota personale non del tutto comprensibile -  un membro della European Film Academy. Entrambi recano in sé la colpa a causa della quale saranno esclusi dal premio finale. Il discorso, complessivamente, appare fragile ed inutilmente ermetico, appoggiato, con poca convinzione, ad una critica antireligiosa che si dirige, forse un po’ troppo per le spicce, contro l’escatologia cristiana che divide l’umanità in buoni e cattivi, innalzando i primi al cielo e lasciando i secondi senza alcuna speranza. La fine del mondo accoglie, nel suo grembo post-atomico, i poveri diavoli e si accanisce sui forti,   abbandonandone i corpi nella fredda desolazione dell’inverno nucleare.  L’apocalisse viene sfatata – nella sua veste sacra, come nella sua rivisitazione laica e fantascientifica – immergendola in un’atmosfera torpida, sottolineata da una colonna sonora in formato litania che funge da efficace commento musicale alla pena di chi non vede la fine della propria sofferenza. Come, ad esempio, quella ragazza, laureata eppure disoccupata e costretta a prostituirsi, che, con la pelle arrossata dalle temperature polari, arranca per assicurarsi la giusta parte di salvezza. Me Too è un improvvisato bozzetto d’autorialità, forzato nella sostanza, eppure imbevuto di una timidezza che smussa le imperfezioni formali sfumandole in un incanto sonnolento, esteticamente gradevole, che contiene, tutto sommato, anche un accenno di soffusa poesia.

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