Regia di Jazmín López vedi scheda film
La telecamera furtiva della regista insegue nel bosco cinque ragazzi: Arturo, Niki, Felix, Sofia e Isabel; scegliendo di riprenderli quasi ed esclusivamente di spalle, mentre avanzano lasciandoci indietro, loro, leoni sfuggenti che appaiono e scompaiono tra gli alberi della foresta. Scostanti e distanti da noi, dal nostro mondo civilizzato e caotico e a loro agio in quel pacato stato di natura rousseauiano in cui si muovono, in attesa di giungere alla meta del loro viaggio, fanno giochi di parole, si scambiano baci, parlano di dei e filosofia, di ricordi in un'atmosfera che ha del surreale.
Man mano che proseguiamo il viaggio attraverso questa selva onirica, quasi stregata, diventa inevitabile il parallelismo con "Picnic ad Hanging Rock" di Peter Weir con le sue riprese votate all'estasi della natura e degli esseri umani perduti in essa, per celebrare un ritorno alle origini e all'innocenza del genere umano, in balia di una nostalgia decadente.
Così pure in Leones, l'occhio della regista si sofferma sui particolari: il mormorio del ruscello, le foglie mosse dal vento con silenzioso speed motion, i raggi del sole che si insinuano nel sottobosco, indugiando su inquadrature più claustrofobiche e mostrandoci raramente sprazzi di cielo o radure, a sottolineare la nostra maggiore vicinanza al suolo, alla terra, agli istinti piuttosto che al paradiso e all'idealità.
Ma qualcosa non va, Isabel più volte si ritrova voce fuori dal coro, giungendo al definitivo distacco dai suoi compagni, quando si perde in un bellissimo giardino di digitali purpuree di pascoliana memoria. Ce la faranno i nostri eroi, i nostri leoni a giungere alla agognata meta del loro viaggio, alla casa sul mare di cui parlano?
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