Regia di Jazmín López vedi scheda film
“Les bois dont les reves sont faits” (i boschi di cui son fatti i sogni) è il titolo molto pertinente del documentario bellissimo di Claire Simon recentemente visto al festival di Locarno, e che in qualche modo racchiude nel suo titolo accattivante ed elegantissimo, una chiave di lettura di questo interessante, enigmatico, placidamente incalzante film argentino, presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2012 e poi passato al TFF dello stesso anno.
Il bosco attrae ed inquieta, è sempre successo e sempre si ripeterà: nell’attraversarlo si vive la sensazione positiva di finire per farne parte. Percezione piacevole e rasserenante che si trasforma talvolta in un più inquietante sentimento di soffocamento ogni qualvolta l’orientamento comincia a mancare e ci si accorge (sempre troppo tardi) di stare probabilmente ripercorrendo passi già calpestati, senza riuscire a districarsi nel trovare la giusta direzione (ammesso che ci sia).
Cosa ci fanno cinque ragazzi giovani e istruiti, brillanti e apparentemente sereni - tre maschi e due femmine - all’interno di una boscaglia fitta, ma anche aperta a pianori lussureggianti e piantagioni generose di frutta o pozze d’acqua cristalline in cui tergersi?
Non lo sappiamo proprio, ad inizio film, quando il gruppo discorre in modo concitato, filosofeggia, parla di sesso appartandosi con l’amica o l’amico del cuore, inventa giochini a base di frasi pertinenti con un numero obbligatorio di parole atte a contenerlo.
Non sappiamo proprio se siano in gita, se debbano raggiungere una meta in particolare, o semplicemente vogliano godersi una giornata di relax in mezzo alla natura.
Non lo sappiamo, ma qualcosa scopriremo, pian piano, accumulando dettagli più o meno fondamentali (registrazioni vocali, l’acuirsi del senso della fame o del freddo che colpisce solo alcuni dei ragazzi), quando la macchina da presa, muovendosi furtiva e pedinando i ragazzi, darà spazio a piccoli particolari apparentemente ininfluenti e a movimenti, piani sequenza che spaziano a 360 gradi per dimostrare che la meta non è affatto chiara.
Qualcosa è successo, statene certi: tutto è frutto di un particolare episodio o avvenimento che tuttavia, comprenderete bene, non è proprio possibile anticipare in questa sede.
E in un’atmosfera bucolica, pastorale quasi romheriana che spazia tra i discorsi filosofeggianti e un po’ logorroici di alcuni moderni e un po’ fuori tempo Astrea e Céladon, e l’ansia da thriller alla Cabin fever che il bosco riesce sempre un po’ a creare quando la luce del giorno lascia il posto alle ombre della macchia più fitta e inaccessibile, la soluzione ci viene rivelata poco a poco con l’accumulo di indizi e particolari che svelano retroscena controversi ed altamente drammatici.
Il tutto senza strafare, senza sorprenderci con effetti o tecniche di regia destabilizzanti, ma procedendo al contrario con una narrazione ed una rappresentazione sempre volutamente sottotono, che risulta uno degli elementi vincenti e più azzeccati del piccolo e bel film d’esordio della regista argentina Jazmin Lopez.
Sarà il mare, alla fine di tutto, a riprendersi ciò che resta, o a scrivere la parola fine ad una vicenda fosca e tormentata che affascina e si lascia seguire con una crescente passione?
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