Regia di Tobias Lindholm vedi scheda film
Se Paul Greengrass, con il suo adrenalitico (e splendido) "Captain Phillips", aveva portato sul grande schermo, nel 2013, le vicende della pirateria al largo delle coste somale, è solo di un anno precedente questo "Kapringen", che affronta, per primo, le problematiche di cui sopra. Il danese Lindholm sceglie uno stile registico opposto a quello di Greengrass, che è, per caratteristica propria del regista britannico, più spettacolare, dividendo quasi nettamente il film in due opere distinte: la drammatica epopea della motonave Rozen, in balìa di un gruppo di pirati somali alla ricerca di un riscatto, è virata con colori sporchi, per farne sentire il puzzo e la paura, con telecamera a mano quasi sul collo dei protagonisti, immedesimando assai bene lo spettatore negli angusti locali dove si compie il destino dell'equipaggio, e, dall'altra parte del mondo, muovendosi negli uffici-acquario della sede centrale, in Danimarca, con l'armatore impegnato in una trattativa complicata, che desaturati, quasi, da ogni colore, rappresentano la parte politica, per così dire, di tutta la situazione. Due mondi paralleli che finiscono inevitabilmente per incastrarsi, in maniera mirabile, formando un quadro d'insieme di grandissima efficacia. Tutto, specialmente la parte sull'imbarcazione, risulta vero più del vero, anche grazie all'uso inesistente di un qualsivoglia tema sonoro: i tentativi di dialogo fra l'equipaggio e i somali, il rumore del mare, il suono del fax o del telefono, sono tutto quello che serve a Lindholm per fare che il suo cinema diventi potente e cresca minuto dopo minuto. Tutti gli attori, somali compresi, in stato di grazia, ma non si scopre certo adesso come il cinema danese sia, da anni, ai vertici della cinematografia europea e mondiale. Un film molto più complesso e denso di quello che la vicenda racconta e un film che non ho nessun timore ad alzare al pari livello del lavoro di Greengrass, che mi piacque moltissimo. Eccellente.
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