Regia di Frédéric Fonteyne vedi scheda film
Due ladruncoli in carcere dopo un colpo finito in tragedia; una giovane donna con pargolo legata ad entrambi per motivi che capirete: le visite di routine in prigione, mentre una guardia timida e coscienziosa li sorveglia, come è suo preciso dovere fare. La stessa riservata persona che poco tempo prima ha avuto modo di incontrare la medesima donna (di professione infermiera) ad un corso di tango, dove lo stesso figura iscritto per passione, fascinazione, ma senza un vero talento né una marcata predisposizione in tal senso. Un colpo di fulmine (unilateralmente da parte della riservata guardia nei confronti della bella donna), a cui segue un pedinamento più ostinato dell’uomo per scoprire i veri legami di quel triangolo misterioso. Tango libre è un piccolo film che fa della gradevolezza e delle accattivanti scenografie dei balli improvvisati in un contesto carcerario tutt’altro che invitante ed opportuno, il suo viatico per il successo e per il generale favorevole accoglimento della pellicola da parte del pubblico che decide di sostenerlo ed esce di sala senza pentirsene.
A me ha colpito non tanto la carineria di certe coreografie e ricostruzioni ammiccanti, quanto più che altro la costruzione del personaggio del protagonista: quel carattere schivo, da riservata comparsa nel teatro della vita di tutti i giorni (Quel Francois Damiens ottimo, già ammirato a Torino nell’intenso Suzanne, a Cannes nello sgangherato Tip Top e a Locarno nell’acclamato Gare Du Nord). Il travaglio interiore dell'uomo, quando il triangolo che è in procinto di smascherare lo costringerà ad infrangere alcune regole fondamentali del proprio mestiere, gettandolo nel panico e rendendolo ancora più vulnerabile, e' un momento di buon cinema che disegna un personaggio degno di uno degli inarrivabili film dei Coen. Un personaggio quasi codardo nel suo rispetto impersonale e senza carattere della regola, salvo poi riscattarsi con un comportamento insospettabilmente da leone che caratterizzerà la sua scelta finale. Il belga Frederique Fonteyne aveva fatto certo di meglio con l’intenso e dolente La donna di Gilles (ma dietro quest’ultimo film c’è pur sempre un grande romanzo), ma la sua operina più recente risulta comunque gradevole e più seria e drammatica di quanto non voglia apparire: e l’apparenza inganna sempre sia lo spettatore, propenso a costruirsi idee erronee o svianti sui vari personaggi che intervengono nella trama, sia da parte dei singoli figuranti, ancorati saldamente l’uno ad un mondo di regole precostituite e dunque inviolabili, gli altri a un filone drammatico che pare averli infilati in un tunnel tragico senza via d’uscita.
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