Regia di Frédéric Fonteyne vedi scheda film
Più tango per tutti?
Uno strano film, con alcuni personaggi abbastanza insoliti: due uomini, entrambi in carcere nella stessa cella, innamorati della stessa donna, la graziosa Alice (Anne Paulicevich), infermiera in ospedale e madre di Anton (Zacharie Chasseriaud), ragazzino quasi adolescente.
Fernand (Sergi Lopez) è il marito di lei ed è al corrente che Dominic (Jan Hammennecker) ne è l’amante, eppure i due sono amici e - se non fossero stati condannati (Dominic a una pena più alta) per una rapina finita in omicidio - continuerebbero a vivere d’amore e d’accordo sotto lo stesso tetto con lei e con Anton, figlio di uno di loro, ma da entrambi amato teneramente e, per amore di lei, considerato da ciascuno dei due un vero figlio.
La donna vive, ora, organizzandosi fra i turni all’ospedale, le cure al figlio, le visite ai suoi due uomini e le lezioni di tango, momento di libertà tutto suo, da poco tempo, però, poiché la sua vecchia aspirazione a imparare bene questa danza non aveva trovato udienza in Fernand, cosicché lei ci aveva rinunciato.
Sarà Jean Christophe (François Damien), la guardia carceraria, ad assumersi involontariamente il compito di diventare il suo ballerino.
Jean Christophe era bello, biondo e di gentile aspetto e condivideva la propria solitudine con un vecchio pesce rosso; dopo i turni di sorveglianza frequentava le lezioni di tango, di cui era appassionato.
Solo quando gli avevano affidato il compito di assistere ai colloqui in parlatorio aveva scoperto che la sua partner, quella di cui si stava segretamente innamorando, era la donna di due carcerati: era stato preso dal panico e si era ripromesso di evitare da quel momento qualsiasi rapporto con lei, ma ne era troppo attratto per farlo davvero.
A loro volta Fernand e Dominic non avevano tardato a scoprire tutto del tango, di Alice e dei suoi rapporti con J.C., quantomeno sconvenienti nella sua situazione.
Da questo bizzarro incrocio dei destini di ciascuno si sviluppa tutta la vicenda di questo film, che il regista racconta senza flashback, ma facendoci scoprire a poco a poco tutto quello che dei singoli personaggi occorre sapere per comprendere la situazione e i suoi sviluppi.
E’ la parte migliore dell’intera pellicola: appare da subito evidente che la famiglia “allargata” di Alice, trattata in modo non programmatico né ideologico, si presenta come un elemento interessante in cui la singolarità della situazione è resa del tutto accettabile dal carattere di verità del "triangolo-quadrangolo" amoroso.
Questo modo del racconto connota anche la descrizione dell’ambiente carcerario, che poco concede agli stereotipi di genere ed è invece attenta a dare il quadro di una poetica rappresentazione soprattutto quando, su richiesta di Fernand, le lezioni di tango verranno introdotte anche nel carcere, evocando, grazie alla sensualità che si irradia da quella danza, amori e passioni perdute, ma forse ancora ricuperabili, nonché il senso della libertà possibile in un futuro più o meno lontano, per uomini, capaci di muoversi ora con leggerezza e grazia, secondo il ritmo suggerito dalle dolci note che conferiscono un senso al tempo immutabilmente vuoto della pena.
Le vicende successive, invece, testimoniano una innegabile difficoltà a inventare il finale della complessa narrazione, difficoltà che è insieme stilistica e narrativa: il film si perde nell’accumulo incessante di nuovi elementi, dalle crisi edipiche di Anton, all’amore che si trasforma in melodramma per J.C., al tentato suicidio di Dominic, e avanti aggiungendo, fino a rendere alquanto improbabile la conclusione dell’intera storia. Un vero peccato!
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