Regia di Haifaa Al-Mansour vedi scheda film
La semplicità e la schiettezza che hanno reso grande e fino ad oggi inimitabile il cinema iraniano, sono qualità che riscontriamo adesso in questo film made in Arabia Saudita, primato che diviene ancor più prezioso tenendo conto che alla regia c'e' una donna, Haifaa Al-Mansour; una pellicola del resto popolata di donne: fragili ma nello stesso tempo sicure di ciò che vogliono, del loro ruolo in una società che per noi occidentali le segrega e ne viola i diritti fondamentali, mentre dal loro punto di vista consente loro una libertà che nasce da una serie di impedimenti e divieti che ne tutelano e garantiscono la sicurezza e la protezione: divieto di apparire scoperte in pubblico, di parlare con uomini, di farsi anche solo vedere da gruppi di uomini in luoghi pubblici; divieto di disobbedire al marito, di opporsi od ostacolare i desideri (sessuali e non) del proprio uomo; divieto persino di andare in bicicletta, non ritenuto consono per assicurare quella purezza che potrebbe essere compromessa dal contatto di quella parte così sensibile del corpo con la sella.
Da questo esile spunto parte la vicenda del film che vede la giovane decenne Wadjda patire del fatto di non poter sfidare ad una gara di velocità ciclistica un amichetto che le fa la corte in modo un po' maldestro, con scherzetti un po' grossolani e fastidiosi.
Il giorno che la bimba vede su un camion una bicicletta verde nuova fiammante mentre sta per essere consegnata in un bazar del centro cittadino, questa inizia a sognare di farla propria e a progettare il modo piu' efficace per far suo quel tesoro agognato.
L'esile ma efficace storia è anche il pretesto della regista per far luce sulle contraddizioni che stanno alla base di una società maschilista in cui come dicevo sopra la donna si ritaglia un ruolo fondamentale ma apparentemente sottomesso e segregato, in cui questa sua condizione alla fine serve più come strumento di protezione che come mezzo di sudditanza. Ci troviamo in una società non molto dissimile a quella dei paesi del Medio Oriente che tanto ottimo cinema neorealista ha ispirato e grazie al quale abbiamo imparato a familiarizzare; tuttavia la società saudita vive indubbiamente un tenore di vita decisamente più elevato rispetto ai protagonisti del cinema di Kiarostami, Makmalbaf o Panhai; la cultura è generalmente superiore e il benessere più diffuso. Tuttavia i divieti e le rinunce a cui sono sottoposte le donne sono ancora più dure se non motivate da ragioni economiche ma strettamente etico-religiose.
Il film semplice, schietto e ben girato vive di momenti molto interessanti e di scelte di regia elementari ma proprio per questo efficaci ed apprezzabili. Momenti di grande cinema come la visione quasi paradisiaca della bicicletta verde del titolo che, trasportata in cima ad un furgone colmo di merce, appare quasi sospesa per aria spuntando al di sopra di un alto muro che la fa scorrere in tutta la lunghezza della barriera come sospesa per aria, caduta dal cielo per restare come meta incancellabile nella mente ostinata e orgogliosa di una bambina sveglia e intelligente e soprattutto così poco avvezza alla resa, e che troverà la via giusta per far si che il suo sogno diventi alla fine realtà, alla faccia dei divieti, delle usanze retrograde, del più tetro e innaturale atteggiamento restrittivo attribuito alla donna e da essa stessa generalmente avallato e accettato di buon grado.
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