Regia di Haifaa Al-Mansour vedi scheda film
Un piccolo film; una coraggiosa regista; una bella opera prima, tenera e commovente, molto adatta, oggi, per sottolineare la portata universale della giornata internazionale contro la violenza e la discriminazione nei confronti delle donne, presente in territorio Saudita, nonostante il presunto Rinascimento di cui qualcuno parla.
Grazie ai suoi immensi giacimenti petroliferi, l’Arabia Saudita è uno dei paesi più ricchi al mondo; tuttavia, fino a pochi anni fa, le donne continuavano a vivere laggiù nella più totale mancanza di libertà e di autonomia, poiché la monarchia fondamentalista islamico-wahabita, che era al governo, faceva applicare intregralmente il Corano alla vita civile, cosicché quel paese era una vera e propria fucina dell'integralismo islamico.
A Ryad le molte donne che avevano studiato fino all’Università e ricoprivano ruoli importanti nelle scuole femminili e in alcuni uffici degli ospedali e delle ambasciate non potevano guidare un’auto, o percorrere le strade a piedi o a capo scoperto, perché il pesante velo nero, che lascia scoperti i soli occhi, era imposto a tutte.
A Ryad è ambientato questo film della coraggiosa regista saudita Haifa Al-Mansour, che dal Bahrein - lì viveva col marito americano - era tornata in patria per girarlo e dove, adeguandosi alle dure condizioni imposte dal governo, era riuscita a concluderlo: aveva percorso le strade riparata sempre dal tetto di un’auto, cercando il più possibile di passare inosservata e alla fine aveva consegnato al mondo un messaggio di durissima denuncia, ma in parte aperto alla speranza.
Ci ha raccontato con grazia e tenerezza le vicende di una bella e intelligente ragazzina, Wadjda, intraprendente e curiosa del mondo, scolara non troppo obbediente, figlia di una coppia che si potrebbe definire di media borghesia, che l’amava senza riserve e che avrebbe desiderato vederla felice.
Non ci vuol molto, però, per comprendere che all’interno di quella sua famiglia, apparentemente solida, erano numerose le tensioni poiché ciascuno aveva buoni motivi di preoccupazione e di scontento.
La madre di Wadjda, insegnante per un certo tempo in una scuola locale, è, infatti, molto inquieta e teme che il marito stia progettando un secondo matrimonio (la poligamia, ancora oggi in vigore in Arabia Saudita, del resto, glielo avrebbe consentito): si diceva che la madre di quell’uomo, troppo spesso fuori di casa, stesse preparandogli l’incontro con una signorina.
Lui, che amava la bimba, ma - almeno a suo dire - anche la moglie, non smentiva l’intenzione di cercare una donna che gli desse quel figlio maschio che la moglie, sempre a suo dire, era colpevole di non voler concepire…
La bimba era insofferente di fronte alle ingiustizie e alle prepotenze del padre, che senza ragione ferivano la madre, ma poco sopportava anche i rimproveri delle sue insegnanti, che l'accusavano di eccessiva disinvoltura negli abiti e nel comportamento: lanciava perciò numerosi segnali di non voler subire soprusi né ora, né da grande: non a scuola, non in casa, e neanche nei giochi con Abdullah, il suo inseparabile compagno di bricconate, al quale, anzi, dopo una bella litigata, aveva lanciato la sfida di vincerlo in una gara in bicicletta: quando fosse riuscita ad avere una bici tutta sua non solo lo avrebbe raggiunto facilmente, ma lo avrebbe agevolmente superato. Da questo momento, tutte le sue energie saranno dirette a studiare la strategia per acquistare la bella bicicletta verde che le piace, nonostante i divieti, i tabù, e le assurdità superstiziose intorno al suo progetto.
Il film merita di essere visto e apprezzato perché ci offre l’ indimenticabile ritratto di una bambina che cerca autonomia e libertà, nonché un posto nel mondo oltre che sull’albero genealogico di famiglia, sul quale invano si cercherebbero presenze femminili e sul quale invano lei stessa cercherà di piazzare il proprio nome, a testimonianza della propria esistenza e del proprio rifiuto a farsi relegare nel mondo delle donne invisibili che l’avevano preceduta.
Calorosamente accolto, nel settembre del 2012 alla rassegna veneziana dov'era stato presentato fuori concorso nella sezione Orizzonti e dove Haifa Al-Mansour, alla sua opera prima, aveva ricevuto una commossa e meritatissima standing ovation al termine della proiezione.
Aveva firmato, per la prima volta, un film “al femminile” in Arabia Saudita.
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