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Penance

Regia di Kiyoshi Kurosawa vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Penance

di alan smithee
8 stelle

Kiyoshi Kurosawa è un regista pressoché clandestino nel nostro paese. Pur essendo piuttosto prolifico, il regista giapponese, esperto narratore di storie horror o di noir polizieschi, non è mai stato ritenuto degno sino ad oggi (e salvo errori o dimenticanze mie) di meritare l'avventura su un grande schermo italiano; inoltre il cineasta ha la sfortuna di portarsi dietro un cognome illustre, troppo altisonante che inevitabilmente e senza colpa lo pone automaticamente in seconda posizione e con lungo distacco rispetto all'irraggiungibile, giustamente mistificato e ineguagliato Akira. Sfortune a parte, a qualche anno di distanza dall'ultima sua opera (Tokyo sonata), torna - almeno sul mercato francese - il nostro buon regista giapponese con Shokuzai, un'opera doppia, distribuita infatti in Francia (considerata la durata complessiva di oltre quattro ore e mezza) in due film separati, dallo stesso titolo ma dal sottotitolo antitetico - "Quelle che volevano ricordare" Vs. "Quelle che volevano dimenticare". Una tattica che ricorda, per stile, confezione e sentimento (entrambe sono lunghe e sfaccettate storie di vendetta) il celebrato Kill Bill di Tarantino.
Strutturato con un antefatto drammatico sulla brutale uccisione di una bambina, della durata di circa una mezz'ora e poi suddiviso in quattro episodi di ca 50 minuti che coprono ognuno le singole vicende delle quattro bambine testimoni oculari dell'assassinio, il film dedica poi l'ora restante a riallacciare le fila di un racconto che torna in questa circostanza a scorrere forte, in una cascata senza fine di storie, vecchi intrighi e misteri che poi il regista si sente in dovere di spiegare a puntino, quasi ossessivamente, ricorrendo anche a ripetuti interrogatori dove gli agenti ripassano la intricata vicenda più a favore del pubblico che per loro stessi. Quasi che il cineasta fosse colto da un timore assillante e in effetti un po' giustificato, che l'elaborata vicenda potesse fare acqua in qualche anfratto semi-nascosto in cui si dipana tutto il vorticoso racconto che racchiude almeno quindici lunghi anni di crimini e sotterfugi dell'anima e del sentimento. oltre che del corpo. 
Senza entrare nei particolari, per evitare fastidiosi spoiler ma pure di dilungarsi oltre ogni tolleranza, va detto che l'assassinio della piccola spinge la madre ad accanirsi nei confronti delle quattro amiche della bambina - uniche testimoni oculari - per sapere qualcosa di utile che aiuti le indagini, visto che e' stato appurato che tutte e quattro hanno visto in volto l'assassino. Ma nessuna di esse ricorda nulla, nonostante le minacce della madre della vittima che non si dà pace; per questo motivo la vicenda rimane irrisolta. Quindici anni più tardi in quattro capitoli ripercorriamo le vite delle quattro bambine scampate al brutale assassinio, ognuna diversamente ma drammaticamente segnata da quell'agghiacciante avvenimento: due di loro si sforzeranno di ricordare, mentre altre due faranno di tutto (persino dando la morte) per dimenticare quell'incubo indelebile. Segue dunque un epilogo di un'ora circa, vorticoso sino all'assurdo come la più folle delle telenovelas, come un Twin Peaks nipponico che non si vergogna di risultare sempre più un assurdo ma in fondo appassionante feuilleton di gran complessità e classe e che fa dimenticare certe lentezze e lungaggini a cui le precedenti quattro storie ci avevano abituato.

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