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La quinta stagione

Regia di Peter Brosens, Jessica Woodworth vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

Badu D Shinya Lynch

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La recensione su La quinta stagione

di Badu D Shinya Lynch
10 stelle


Inverno, primavera, estate, autunno... e ancora Inverno
.

“Cosa abbiamo fatto ai nostri paesaggi? Li abbiamo messi in imbarazzo!”
- Werner Herzog -

Apocalisse stagionale.
L'Inverno non se ne va, non vuole bruciare perché questa fredda stagione è prima di tutto dentro l'animo umano : sono gli abitanti la vera cinquième saison che manda tutto in stallo, che blocca il corso della natura. Non c'è più armonia tra l'uomo e la terra, essi non parlano più tra di loro, hanno smesso di capirsi. In una delle prime sequenze, i ragazzi - Alice e Thomas - comunicano tramite suoni animaleschi, come urla primitive ancora incontaminate, un tutt'uno con la Natura, simbolo di armonia tra i vari elementi, di unione. Ora non c'è più intesa. Le api smettono di esistere, le mucche si rifiutano di produrre latte, la terra smette di dare i propri frutti. Scacco matto. Thomas e Alice si allontanano sempre di più, come due estranei : l'ululato del ragazzo non viene accolto da lei, non riceve risposta, ciò che rimane è solo un debolissimo e impercettibile eco. I primi distacchi, non c'è più simbiosi. Per combattere la fame, per allontanare la maledizione, per sconfiggere lo Zio Inverno, bisogna per forza trovare una soluzione, bisogna decidere e agire. Il primo passo verso l'involuzione : quando non si sa come risolvere un problema, si da necessariamente la colpa a qualcuno, si cerca per forza un colpevole, una figura su cui scaraventare sopra la debolezza collettiva, quella della massa. I presagi, i sintomi, le prime tracce di una catastrofe imminente sono tanti : "Quando le api scompaiono, anche tutto il resto scompare", parole profetiche quelle di Pol ; una citazione simile viene attribuita erroneamente ad Albert Einstein : "Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita." - ; la fine incombe, gli indizi sono innumerevoli. Nel film gli abitanti del villaggio cercano drastici rimedi per fronteggiare questo incombente cataclisma : precludono la razionalità, sono pieni di preconcetti, impauriti dalle idee innovative, dalla ricerca della verità, dallo studio ; infatti Pol - il filosofo - dichiara : "Preferisco essere un uomo paradossale piuttosto che un uomo di pregiudizi" ; perché accusare ingiustamente una determinata persona senza prima provare a cercare la verità, trovare un ragionato rimedio - cercare di scongiurare l'inevitabile - che non sia per forza una soluzione atavica, brutale, inumana? Infatti anche Jean Jacques Rousseau diceva "(...)Ed io preferisco essere un uomo di paradossi, che un uomo di pregiudizi." : notevole è la componente filosofica, ostentata appositamente per evidenziare la pericolosità dell'ignoranza, della superficialità unanime, comune, corale. Tutto potrebbe venire fuori dal paradosso, dalla ricerca razionale, invece che tuffarsi nel mito, nel vecchio, nel Medioevo. E' arrivato l'inesorabile e prevedibile momento di incolparsi a vicenda. Ecco che una voce pura canta, allontanandosi dagli uomini, dal mondo, dalla malvagità, quasi come se trascendesse tutto ciò che è terreno, banale ; una dolce filastrocca che momentaneamente zittisce tutti, ipnotizzati : certo, lui è Octave, l'ultimo bagliore di luce genuina rimasta in quest'oscurità inquinata, in questa fredda umanità ; Octave è, come dice il padre : "il mio angelo, il giudice" - colui che appunto non ha pregiudizi, è vergine, candido, incorrotto. Tutto sta precipitando. Lontani i tempi in cui si faceva l'amore, ora l'istinto brutale ha divorato la dolcezza dell'amplesso. Dov'è finita l'humanité? Forse è proprio questa la vera e glaciale umanità. Bestie. La calma si disintegra, la ragionevolezza si congela, il mondo si sfalda : nell'incipit si presagiva già questa fine, ma l'uomo provava ancora a legarsi con la natura, rappresentata da una gallina, pur diventando egli l'animale, assumendo caratteristiche e emettendo suoni animaleschi ; ecco poi che a metà film, quello stesso uomo - l'Uomo - non riesce più a comunicare, perde la pazienza, trova soluzioni perentorie per ciò che concerne l'incomunicabilità tra i due mondi : è affamato, diventa cannibale, vorace. Ora la gallina dovrebbe essere mangiata, divorata. La voracità delle persone : "Spezzatino di Fred, Fred al salto, Fred farcito, Fred al vino.". Infine, gli ultimi pezzi di lucidità si disintegrano, ecco che quello stesso uomo, il protagonista dell'incipit, decide di ammazzare barbaramente l'animale : egli ha perso definitivamente la sua umanità, il suo aspetto, il suo volto non è più riconoscibile ; è inespressivo, ora indossa una maschera - è annullato. In tre sequenze è stato rappresentato il disfacimento della razionalità, il voler dominare e conquistare ad ogni costo la natura, senza compromessi. Voracità. Alice, in tutto ciò, in tutto questo processo grottesco, cerca di distaccarsi dal villaggio, dalla popolazione, da questa realtà bestializzata. Emblematica è la frase della madre : "dimmi un po', chi ti credi di essere tu?", quasi come non riconoscere più la figlia come tale, quasi sentirla distante dai meccanismi ostici degli abitanti del villaggio. Auspicare è inutile, o meglio, è inverosimile : l'illusione di una vita migliore è raffigurata attraverso dei fiori finti, di plastica. La realtà è priva di speranza ; l'aspettativa di un futuro migliore è fasulla, posticcia. La pace si sta sgretolando. Avviene la perdita definitiva del buon senso, non si ha più la forza di credere, di sperare : mercificazione del proprio corpo ; Alice non sogna più, ha smesso di vivere. "Bisogna avere il caos dentro di se per dare vita ad una stella danzante" : seguire il caos, la strada, verso un nuovo mondo, per (ri)trovare il giusto percorso, il proprio cammino. Pol, Nietzsche. L'unica possibilità di salvezza : scappare. Gli abitanti non permetteranno tutto questo ; se l'inverno non va via, cercheranno in ogni modo di scacciare la presunta causa di questa sciagura, di tutto questo : il filosofo, quel Nietzsche ambulante. Ecco tutti gli uomini senza volto, mostruosi, non più umani. Ecco la quinta stagione che avanza, che prende forma attraverso dei riti sacrificali. Il Male. L'Inverno non vuole bruciare, questi paradossali culti rituali  non danno il risultato sperato. Il freddo è dentro piuttosto che fuori. La colpa non è del singolo, non è del filosofo, la colpa è di tutti : di chi vuole conquistare, di chi cerca di dominare l'indomabile. Herzog docet. Si sta precipitando verso la dannazione, di conseguenza rimane solo un assurdo aggrapparsi alla vecchia favola del sacrificio umano. L'inutilità del mito. Omicidi. Ecco che brucia tutto, prendono fuoco pure le sagome gigantesche : brucia l'humanité in ogni sua forma. Si odono le ultime urla disperate, di dolore : la comunicazione pura, primordiale, animalesca, quella tra Octave e Alice. Il saluto finale, prima dell'abbandono di entrambi. La ragazza non tornerà più indietro, si lascia andare definitivamente, si lascia morire con la natura, insieme ad essa, come gli alberi, crolla insieme a loro - tutto è ribaltato, lei è capovolta, come se levitasse : c'è poesia trascendentale in quest'immagine, c'è Malick. La popolazione del villaggio ha perso la propria umanità, il suo aspetto umano : sono diventati animali, struzzi ; essi rappresentano la voracità - come già indicato precedentemente -, infatti lo struzzo ingerisce qualsiasi cosa, anche il ferro. Un'altra ipotesi è che la scena finale potrebbe raffigurare un invito a riflettere, visto che quest'animale è anche simbolo di giustizia ; l'apocalisse è giunta, la meritata punizione è arrivata : un nuovo inizio, un nuovo mondo in cui l'uomo non ha più alcun potere, non ha più spazio, cessa di esistere ; ed è proprio la natura, che ormai ha il dominio su tutto, che ha castigato l'uomo per la sua eccessiva perseveranza, per la voglia di conquistare, dominare le stagioni. Ora la speranza non appartiene più all'essere umano - la sentenza definitiva, ultima, è piombata sulla testa di tutti : la natura che si ribella all'essere umano. Un animalesco giudizio universale. Octave e Thomas, nella desolazione più assoluta, proveranno ad andare avanti, alla ricerca dell'umanità sepolta. Unici superstiti, morti dentro, vittime.
Ecco una piccola parte di un documento trovato sul web : "L'iconologo spiegherà la presenza dello struzzo fondendo il simbolo della piuma egizia con altre nozioni tratte dai bestiari medievali. Diffuse sono le credenze sugli struzzi che si legano alla figura della Giustizia, molte delle quali descritte la Plinio il vecchio nel suo Naturalis Historia. Si pensava che fosse in grado di digerire tutto, anche il ferro, che indica la capacità di meditare prima di giudicare. Allo stesso tempo sempre Ripa pone lo struzzo come attributo della Gola, per questa stessa capacità. Da qui deriva anche il detto "avere uno stomaco di struzzo"."
L'animale potrebbe anche esprimere semplicemente l'ineluttabile vittoria della follia rispetto alla razionalità : ricordiamo gli struzzi di My Son, My Son, What Have Ye Done. Non ci sono risposte. Finalmente lo spettatore è stimolato, è portato a riflettere, a porsi delle domande.

"Ovviamente i tre film hanno in comune lo stesso linguaggio visivo, un senso di urgenza e l’interesse per le tematiche ambientali. Ma un film parla a ogni spettatore in modo diverso. Noi desideriamo che i nostri film tocchino il pubblico, al di là della storia che raccontano. Come accade con la musica. Nessuno si domanda mai “Di cosa parla questa sinfonia?”. Ascoltare la musica è un’esperienza soggettiva e molto personale. Vorremmo che i nostri film fossero vissuti come se fossero dei brani musicali. Iniziamo a lavorare sulla musica molto presto, prima ancora di girare. Per tutto quello che riguarda il suono e la musica, il nostro partner creativo fin da Khadak è Michel Schöpping. Con lui abbiamo esplorato innumerevoli possibilità e il suo contributo ai nostri tre film è incommensurabile."
- Jessica Woodworth -

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La Cinquième Saison
è un'opera destabilizzante e galvanizzante, con delle trovate visive straordinarie ; il film è pieno di sequenze ipnotiche, inquietanti, che hanno un'inspiegabile potenza atavica. La pellicola della coppia belga - Brosens e Woodworth - ha una fortissima componente simbolica, che comunica attraverso archetipi laceranti, accompagnata quasi sempre da degli affascinanti e apocalittici suoni extradiegetici. C'è un po' di Von Trier, un po' di Kaurismaki, un po' di Bergman ; è presente anche uno strabiliante e notevole aspetto artistico o, per meglio dire, "pittorico" : intensi richiami ai numerosi dipinti di Michael BorremansPeter BruegelGoran Djurovic. Tra le altre fonti d'ispirazione vi sono il film ceco Marketa Lazarová (1967), il regista Theo Angelopoulos e la musica di Georges Gurdjieff, Nick Cave, Johann Sebastian Bach e Dimitri Šostakovic.

"I tre film hanno in comune un principio cinematografico: una composizione ben equilibrata di piani sequenza al servizio sia delle scene che delle inquadrature in cui collocare situazioni e azioni. In questo modo il tempo può diventare tangibile: nei nostri film il ritmo e la tensione non sono determinati dal classico découpage, ma dal modo in cui il tempo fluisce attraverso le immagini e le scene. E questo può consentire allo spettatore di trascendere la storia vera e propria. Ancora una volta, crediamo che il cinema abbia le stesse potenzialità della musica, della pittura o dell’architettura."
- Peter Brosens -

Inverno, primavera, estate, autunno... e ancora Inverno.

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