Regia di Peter Brosens, Jessica Woodworth vedi scheda film
"Bisogna avere il caos dentro di sé per dar vita ad una stella danzante"......
Parole affascinanti, misteriose, concretamente incomprensibili, ma comunque coerenti con un clima di mistero e di attesa, con la cupa aspettativa di una stagione che dovrebbe mutare al bello, al caldo, al disgelo ed invece non accenna a placarsi nel freddo della morte che si porta dietro di sé.
Per qualche ragione che non ci è dato sapere infatti, in una regione rurale sulle Ardenne l'inverno non accenna a lasciare il posto alla primavera e le asperità climatiche creano tra gli animali e ancor più nella popolazione, comportamenti anomali e disturbati sempre più forti ed inarrestabili.
Quando anche un rito propiziatorio pagano organizzato velocemente, ma che pare tutt'altro che improvvisato ed anzi denuncia radici perdute nella notte dei tempi, si dimostra inefficace per l'impossibilità di provocarne gli effetti visivi e formali di una combustione che non riesce a verificarsi, allora nelle genti comincia a maturare la necessità di trovare un colpevole, una circostanza che possa spiegare l'inspiegabile e un capro espiatorio con cui sfogare le proprie paure e le proprie superstizioni, adeguatamente riaffiorate a governare la vita quotidiana. E quando i sacrifici di animali non bastano più sarà l'apicoltore-filosofo del villaggio con il proprio figlio invalido ad attirare i sospetti più forti di colpevolezza fino a giustificare giustizie sommarie senza possibilità di appello. Intanto il mondo animale e vegetale si ferma ad uno stato di torpore e/o di morte che ben si intona con le atmosfere grigie e cupissime di una fine del mondo che sembra inevitabile.
Il terzo film della coppia di registi giramondo Bronsens/Woodworth non cerca appigli accattivanti né atmosfere baracconesche che suggeriscano scenari da fine del mondo fotograficamente ammalianti o seducenti; la forza del film è quella di rappresentare l'agonia del pianeta con un realismo documentaristico che appare ancora più sconvolgente di quanto un blockbuster potrebbe farci vedere con effetti ed effettacci inutilmente roboanti.
Siamo dalle parti di Haneke ed in particolar modo del suo apocalittico ma estremamente realista "Il tempo dei lupi". Un ritorno al medioevo della civiltà che si rifugia su antiche credenze e superstizioni per spiegare l'inesplicabile e saziarsi di verità e spiegazioni fittizie. Un film duro e spigoloso, enigmatico e stordente, dove basta la ripresa della caduta, improvvisa e senza una ragione precisa, di un grande albero, per lasciare nelle orecchie di noi spettatori l'eco sordo, potente ed infinito di un collasso che sembra sempre più irreversibile e proprio per questo estremamente inquietante.
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