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Terramatta - Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano

Regia di Costanza Quatriglio vedi scheda film

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La recensione su Terramatta - Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano

di OGM
8 stelle

Il libro di uno scrittore analfabeta. Il capolavoro che non leggeremo mai. Sono più di mille le pagine battute a macchina da Vincenzo Rabito, siciliano, nato a Chiaramonte Gulfi nel 1899. Sono un mare di fogli fitti di lettere e di punteggiatura, ordinatamente raccolti in tanti quaderni con la spirale e la copertina di cartoncino colorato. L’italiano è quello genuino e fantasioso di chi non è mai andato a scuola, ed ha imparato a leggere da solo, in età adulta, con la testa piena di preoccupazioni per una situazione disgraziata e difficile. La lingua è autentica, spontanea ed aderente alla realtà, benché sia inventata; l’ortografia e la sintassi sono strutture acrobatiche plasmate dall’asprezza di un’esistenza trascorsa a combattere, contro un presente ingrato e per un futuro migliore. Vincenzo, prima di consegnare alla carta le memorie di ottant’anni di vita vissuta, è stato soldato ed emigrante, operaio e guardia cantoniera, fascista e comunista, figlio, fratello, marito e padre. Ha conosciuto due guerre, strisciando col ventre  tra le linee del fronte austriaco, o soffrendo la sete sotto il sole africano. Ha sempre scavato, con la mazza e la zappa, accanto alle trincee, per seppellire i compagni uccisi, o in mezzo  al deserto, per costruire pozzi e strade. Era povero, dice, ed i potenti disonesti l’hanno voluto lasciare ignorante. Ma, dopo avergli inflitto anni di oppressione e stenti, sono risultati sconfitti. Non sono riusciti a fermare quel fiume impetuoso di parole, che recentemente è stato riscoperto, tradotto, dato alle stampe, e ora riproposto in versione cinematografica. La voce fuori campo di Roberto Nobile interpreta, con spiccato accento ragusano, i brani di quella testimonianza che spazia dalla cronaca alla riflessione filosofica, dal racconto alla confessione. Intanto sullo schermo scorrono tante immagini di repertorio,  documenti filmati di un secolo sanguinoso ed inquieto, in cui molto è stato distrutto e tanti sono stati ingannati, mentre qualcuno, nonostante tutto, ha continuato ad andare avanti per la sua strada. Il sussurro può essere grezzo e ruvido, quando rievoca la verità: quella che ha causato una grande e lunga sofferenza, cosparsa di poche fuggevoli gioie, eppure è stata oggetto di infinito amore. Vincenzo dimostra di amare disperatamente la sua vita, che altri hanno voluto fosse costantemente maltrattata. Che brutta vita che facevo, esclama, ad un certo punto, come sospirando, per un fardello di amarezza impossibile da dimenticare. Ma intanto il treno dei ricordi procede indisturbato. La memoria è una corrente inarrestabile, come quel fiume Isonzo, che un tempo era un mostruoso deposito di morte, ed ora, invece, sembra così bello nella sua pacifica maestosità. In Terramatta la  metafora ed il neologismo hanno un sapore rustico ed antico, come il pane fatto in casa, che magari prende una forma indefinita ed esce un po’ mal cotto, ed è l’espressione, inadeguata ma sincera, di una primitiva voglia di sopravvivere con le proprie forze. Vincenzo ce l’ha fatta, con la sua bontà d’animo che l’ha reso al contempo indifeso e indomabile. La sua storia è un insieme di grandi eventi storici e piccoli aneddoti di gente comune. Gli invisibili parlano a fior di labbra, sullo sfondo di un mondo che nei cinegiornali appare popolato da eserciti e folle, da generali e sovrani. I milioni di Vincenzo Rabito sono una manciata di briciole sparse nel vento. Questo film ce ne porta alle orecchie il sottile ed ostinato fruscio.

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