Regia di Liz Garbus vedi scheda film
Da un baule in casa di Lee Strasberg, con tempismo da cinquantenario, sono sbucate nel 2012 centinaia di pagine autografe di Marilyn (pubblicate in Italia, per Feltrinelli, col titolo Fragments. Poesie, appunti, lettere). Per portarle al cinema Liz Garbus ha affidato le parole di Norma Jeane a dive di oggi: da Uma Thurman a Glenn Close, da Viola Davis a Evan Rachel Wood, celebrità al femminile monologano recitando missive scritte dalla Monroe di suo pugno. Intanto sullo schermo scorrono, come uno screensaver per fan, le immagini immortali scattate da Eve Arnold, Milton Greene etc., mentre il controcanto è dato da scritti autobiografici di Arthur Miller, Truman Capote, Lee Strasberg (anch’essi “interpretati” da attori come Adrien Brody, Paul Giamatti e David Strathairn). «Voglio diventare un’attrice, non mi interessano i soldi, né gli uomini» afferma una giovane Marilyn in una delle prime pagine lette: ma il documentario non può esimersi dall’intessere (per l’ennesima volta) l’arazzo melodrammatico della bellissima bambina vittima di uomini e studios, capro espiatorio per registi in affanno, martire della fama. Le donne chiamate al compito ingrato di riportare in vita la voce della leggenda oscillano tra il monologo enfatico e la terrificante riproduzione di tratti “da Marilyn” (Marisa Tomei osa un bacio soffiato; Lindsay Lohan, oscenamente rifatta, ne ricalca make-up e platino); il risultato, più che un omaggio, è simile a un’autopsia sul corpo già abusato di una dea pagana.
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