Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film
L’attaccamento alla vita che possiede un uomo, il suo istinto per la sopravvivenza, è qualcosa di inspiegabile. Quello che ha tenuto in vita Gulli, giovane pescatore islandese, unico membro dell’equipaggio sopravvissuto all’inabissamento di un peschereccio, resta tutt’oggi un mistero.
Ispiratosi a fatti di cronaca realmente accaduti, Baltasar Kormákur, regista islandese adolescente all’epoca dei fatti, racconta la storia di un uomo divenuto leggenda e della sua impresa ai limiti del normale.
Nonostante l’ambientazione poco familiare, i mari e il freddo del nord, in cui viene collocato un contesto non comune, la vita dei pescatori, la capacità del regista sta nel riuscire a mettere lo spettatore a proprio agio, rendendo naturale tutto ciò che guarda. Ciò rende possibile avere con i protagonisti un grado di confidenza tale da immedesimarsi nel dramma di cui finiscono vittima.
La pellicola funziona bene per tutta la prima parte, finendo per inclinarsi nella seconda metà della visione. Fin quando si tratta di raccontare la vita in mare con le sue avversità, compreso il totale isolamento nelle acque gelide dell’oceano che Gulli, un intenso Ólafur Darri Ólaffson, è costretto a superare, si è catturati da un racconto coinvolgente grazie all’utilizzo delle immagini e dei flashback in formato 8mm che ci raccontano il passato del protagonista.
Nella seconda metà, quando il protagonista, ormai in salvo, deve affrontare i numerosi esperimenti volti a trovare una spiegazione scientifica a quello che sembrerebbe un vero e proprio miracolo, il film si inabissa in una serie di eventi poco allettanti prima di condurci al finale pregno di nostalgia e di predestinazione.
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