Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film
Un film da non perdere; un altro interessante ricupero estivo di una pellicola islandese del 2012, ispirata a un fatto di cronaca straordinario.
Siamo nel villaggio di pescatori di Heimaey su un isolotto dell’arcipelago islandese che, come il resto di quel territorio, è luogo di vulcani e di ghiacciai, ostile e inospitale. Il mare antistante, però, è pescosissimo e dà da vivere al villaggio, permettendo ai pescatori di togliersi persino qualche capriccio: una bella moto, magari a rate o un bel Vinile che incrementi la ricca collezione di L.P….
Le condizioni della sopravvivenza, da quelle parti, possono diventare tuttavia durissime da un giorno all’altro, come era accaduto ai residenti del villaggio contiguo, costretti ad abbandonare le proprie case per l’eruzione improvvisa di un vulcano. Non era morto nessuno: la bocca infuocata del nuovo cratere era sufficientemente lontana per permettere agli abitanti di sfollare ordinatamente mettendo insieme le proprie cose e attendendo l’arrivo degli aiuti dalla capitale Reyjkiavik, che non aveva risparmiato sulla solidarietà immediata, garantendo anche impieghi amministrativi per il futuro dei profughi.
Eppure, qualcuno era andato a scuola e aveva studiato per tornare alla propria isola con qualche conoscenza in più, come Gulli, il protagonista (superbamente interpretato da Ólafur Darri Ólafsson), o come il giovane cuoco, deciso a farsi assumere da qualche equipaggio in grado di apprezzare la buona cucina. Se è vero, infatti, che nella capitale ci si sente sicuri e protetti, è altrettanto vero che sfugge il significato profondo di una condizione libera da incertezze e pericoli. Le parole leopardiane mi sono tornate, nel corso del film, più volte alla mente:
Se ora […..] non fossimo su queste navi, in mezzo di questo mare, a questa sconosciuta solitudine, in una condizione di grande incertezza e rischio, in quale altra condizione di vita ci troveremmo? In che cosa saremmo occupati? In che modo trascorreremmo questi giorni? Forse più lietamente? O non ci troveremmo forse in qualche maggior affanno o preoccupazione, oppure preda della noia? (cit: Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez).
Le grandi solitudini degli uomini del Nord, il tentativo di allontanare l’angoscia esistenziale accettando le più estreme sfide della natura è, io credo, uno dei più importanti temi intorno al quale il regista costruisce il film ed emerge in un gioco continuo di rimandi, come flashback o forse come sogno, durante la dolorosissima vicenda del naufragio notturno della nave su cui Gulli, il giovane cuoco, il collezionista di antichi LP e altri uomini erano saliti per concludere le operazioni di pesca, per le quali le reti erano già state gettate. Gulli ne era uscito vivo ed era stato l’unico dell’equipaggio: per salvare gli altri non aveva certamente lesinato le proprie forze; nessuno, d’altra parte, avrebbe potuto sopravvivere in pieno inverno in quelle condizioni di fatica e di gelo. In meno di mezz’ora, anche gli uomini più robusti avrebbero ceduto per il freddo e la fatica.
Gulli nonostante fossero passate sei ore era anche sopravvissuto all’impatto violentissimo contro le rocce laviche, alle ferite profonde ai piedi; al dolore fisico lancinante. Il film ce lo racconta con immagini scure di grande potenza emotiva, coinvolgendoci pienamente nel suo desiderio di uscire vivo, abbandonandosi alle forze della natura in compagnia dei gabbiani che ne seguono la deriva. Bellissime e commoventi pagine, cui si aggiungono le altre, angosciose, del sentirsi in colpa per essere sopravvissuto da solo, ciò che gli avrebbe fatto accettare, quasi per espiare, le indagini sul suo fisico provato, condotte dagli “scienziati” razionalisti di Londra, convinti illusoriamente di poterne venire a capo.
La vicenda occupò la cronaca dei quotidiani, qualche anno prima del film, (vedremo comparire con i titoli di coda, il “vero” protagonistra dei fatti raccontati). Il caso rimase misterioso, poiché la scienza islandese, e quella britannica non avevano chiarito alcunché!
…There are more things in heaven and earth, Horatio,
Than are dreamt of in your philosophy.
Amleto (1.5.167-8)
Da non perdere!
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