Regia di Sarah Polley vedi scheda film
Non c'è dubbio che l'uso del digitale, con le sue innovazioni e possibilità, rappresenti oggi una delle rivoluzioni più importanti che il cinema abbia messo in atto nel corso della sua lunga storia. E questo non solo nei termini in cui la settima arte ha ripensato a se stessa, riformulando i riti della sua usufruizione ma anche, e diremmo, soprattutto, nella capacità di uno sguardo che ha esteso il suo campo di percezione oltrepassando i limiti sensoriali che gli erano fin qui riconosciuti. Se, sul piano pratico, le sorprese più eclatanti sono quelle derivate da un grado di verosimiglianza che confonde e meraviglia per credibilità, (come "Gravity" testimonia in tutta la sua perfezione), quello che qui ci interessa sottolineare è un altro aspetto dello stesso fenomeno, meno eclatante ma altrettanto peculiare, derivato dalla proliferazione di opere che dei loro autori mettono in scena fatti e esperienze autobiografiche: sotto forma di Journal Intime, utilizzato da due lungometraggi come "E Agora? Lembra-me" di Joaquin Pinto e di "Sangue" del nostro Pippo Delbono, esempi di un'arte che si mette a nudo senza alcuna reticenza, oppure, come sceglie di fare Sarah Polley nel suo "The Stories We Tell", filtrando l'elemento personale con quello di finzione, attraverso l'inserimento di frammenti recitati da attori professionisti che fanno da raccordo e insieme integrano la parte documentaria del film.
Al centro della scena Diane Polley, madre defunta della regista, e il racconto che di lei fanno le persone che le sono state accanto durante la sua vita: dal marito Michael, conosciuto sulle scene teatrali e poi sposato sulla scia di un'innamoramento a prima vista, ai figli, numerosi ed eclettici, agli amici più intimi, che seppur con fugaci apparizioni concorrono nel delineare l'intero arco esistenziale della protagonista. Tutti hanno qualcosa da raccontare, e nel farlo secondo il proprio punto di vista, ognuno aggiunge particolari che finiscono per mettere in discussione l'assunto di felicità inscritto nell'immagine di quella donna sorridente e libera, e in quella della sua una famiglia, serenamente adagiata nel benessere dei propri privilegi. Così facendo iniziano a farsi strada fatti e rivelazioni che cambiano progressivamente il quadro di riferimento, trasformando "Stories We Tell" in un cineromanzo in cui l'estetica del documentario più classico rappresentata dal collage di interviste all'interlocutore di turno (le cosiddette "talking heads") viene assorbità dalla drammaturgia di un percorso esistenziale e umano affascinante e drammatico. Senza rivelare i particolari di un film che a un certo punto si tinge di giallo per la comparsa di amanti veri e presunti che rendono incerti i natali di uno dei protagonisti, e che di fatto costringono lo spettatore a sospendere il giudizio su ciò che ha appena visto (" la verità cambia a seconda di chi la racconta" afferma una delle parti in causa) "Stories We Tell" fa segnare un altro punto a favore di un cinema trasversale - per formati, materiali e generi impiegati - che si ribella a ogni tipo di classificazione, facendosi promotore di un esperienza totalizzante, capace di rompere le barriere tra l'artista e il proprio pubblico, messi sullo stesso piano da una catarsi che riferendosi a una condizione universale e reale (quella di Diane e della sua famiglia provata dalle dinamiche matrimoniali), appartiene tanto a chi guarda quanto a chi è guardato.
Vicino al capolavoro di Alina Marazzi "Un'ora sola ti vorrei", di cui il film della Polley riprende, e l'orizzonte emozionale scaturito dalla necessità di riappacificarsi con il proprio passato, e, in parte, la funzione di senso attribuita alla tipologia delle immagini (anche qui la dimensione tragica e nostalgica è fornita da riprese effetutate in super 8) "Stories We Tell" è una prova registica di rara efficacia. Consapevole di lambire territori che normalmente appartengono alla televisione dei Reality, con la vita reale o presunta rimessa al giudizio dello spettatore, Sarah Polley riesce a mantenersi sul filo di un equilibrio che coinvolge senza ricorrere al pietismo e al vojerismo di quei prodotti. Presentato in anteprima alla 66 edizione del Festival di Venezia e vincitore di numerosi e prestigiosi premi, "Stories We Tell" giunge sugli schermi sulla scia della sua presentazione al biografilm e grazie al coraggio di una casa di distribuzione quale I Wonder Pictures che ci aveva appena regalato un gioello del calibro di "Per nessuna buona ragione". Come quello, il film della Polley è una visione da non perdere.
(pubblicato su ondacinema.it)
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