Regia di Jeon Kyu-hwan vedi scheda film
Gli amanti della necrofilia hanno il loro film cult: lo ha girato il sudcoreano Jeon Kuy-Hwan, che lo ha ambientato, com'è ovvio, in un obitorio. È qui che Jung (Cho Jae-hyun), gobbo e affetto da tubercolosi, si prende cura dei cadaveri, in qualsiasi condizione arrivino: se c'è da ricucirli per qualche ferita da arma da taglio, lui li ricuce, li trucca, li lava, li pulisce, restituisce loro una dignità. Il grande cruccio dell'uomo è suo fratello (Ji-A Park), prigioniero in un corpo maschile quando invece desidererebbe essere una donna. Ma neppure l'offerta di denaro per l'operazione, ricevuta da questa sorta di Quasimodo postmoderno, lo placa. Tra valzer danzati in totale nudità nell'obitorio, amplessi consumati per strada o con i cadaveri stessi, il film va avanti per due ore con stravaganze di ogni genere che ovviamente fanno la gioia del cinefilo in cerca di pruderie. Il tutto in un'atmosfera plumbea, raggelante, dai tempi dilatatissimi e con ritmo inesistente. Un cinema che gioca tutto sull'allusione metaforica, sulla stramberia di scene e personaggi, sull'eccesso ammiccante che chiede continuamente la complicità dello spettatore per raccontare la solitudine di due personaggi bordeline. Se proprio non si resiste alla tentazione della morte come tema narrativo, molto meglio andarsi a rivedere Departures o Post Mortem.
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