Regia di Ali Aydin vedi scheda film
Basri, vedovo e controllore dei binari ferroviari di una solitaria località della Turchia, in tutti i suoi ultimi 18 anni della sua esistenza non sa più nulla di suo figlio, di cui si sono perse le tracce per attività sovversiva e antigovernativa, dopodiché ha dovuto seppellire per il dolore anche sua moglie, ma è ancora lì, con il suo lavoro quotidiano, ad attendere che finalmente le autorità dicano qualcosa su suo figlio, se sia vivo o morto, per porre termine a questa sospensione continua del non-vivo e del non-morto. Ma il non-vivo, che è al tempo stesso il non-morto, sembra caratterizzare non solo l’esistenza sospesa di Basri, i suoi colleghi, la località in cui vive, ma anche l’intera condizione istituzionale della Turchia. E’ un paese che fa fatica a conquistare una democrazia che garantisca diritti umani e civili, che con forzatura lascia trapelare i crimini di cui si è macchiato durante il regime di estrema destra degli anni 90, che ha provocato innumerevoli scomparse di giovani universitari e intellettuali di sinistra in dissenso.
Certo, oggi qualcosa è cambiato, soprattutto dal 1999, quando si venne a sapere che quei crimini e gli scomparsi erano il frutto di una macchinazione poliziesca e governativa contro gli attivisti, in particolare curdi. Ma ciò non toglie che nel paese c’è proprio un’aria di muffa, di decomposizione, di non lavato, e tutto sembra, nell’opera, attestare questo stato di cose, che assumono una connotazione istituzionale, burocratica, sociale, ma convergenti, umanamente, nell’esistenza del padre Basri, uomo che vive nell’attesa, probabilmente consapevole che suo figlio, giovane studente universitario, oramai, dopo il presunto arresto di 18 anni prima, sia morto per le sue idee; ma ciò non gli basta, vuole le prove, che gli venga detto, che lo Stato abbia almeno il senso di ammettere quella morte.
Per questo motivo ogni 15 giorni invia una lettera al commissariato locale per chiedere le ragioni sulla scomparsa di suo figlio. Il nuovo commissario locale, figura rappresentativa dell’attuale Turchia, da un volto che con tutte le sue rigidità cerca di essere a tratti vagamente liberale, nonostante i suoi toni freddi e distaccati, in perfetto stile burocratico, si sforza almeno di incontrare Basri, ma nel confronto appare subito la distanza incolmabile tra i due, l’uno di fronte all’altro, separati dall’ampia scrivania. L’autorità del commissario dà del tu al cittadino Basri, mentre Basri del Voi; l’autorità del commissario indaga non solo sulle vicende del figlio ma anche sulla condizione del padre, sul perché non abbia mai votato, e cerca di dissuaderlo dal cercare ostinatamente notizie sul figlio. Quasi per rimarcare il nuovo volto del paese, il commissario ricorda a Basri che un tempo tali incontri non finivano in maniera civile, ma si andava nei sottopiani, perciò si evince che anche il padre abbia subito torture.
Oltre a questa tematica fondamentale del rapporto tra il padre in attesa del figlio morto o vivo con le istituzioni silenti, la regia posa lo sguarda anche sull’esistenza di Basri, sui suoi ritmi di lavoro che svolge con assoluta scrupolosità professionale, ma anche sul suo tormento interiore nei confronti di un mondo da cui si tiene distante, ma dal quale non può totalmente prendere congedo, perché in quel mondo ha combattuto lui stesso e in particolare suo figlio, e sempre suo figlio gli ha regalato una radiolina russa dalla quale ascoltare le notizie che da quel mondo provengono. Inoltre Basri ha i suoi segreti, soffre di epilessia, non vuole che la direzione lo sappia per evitare un possibile licenziamento, da qui ricatti sulla sua persona da parte di un collega a sua volta ricattabile. Sono circostanze queste che marcano ancor più la sofferenza interiore di Basri.
La volontà di sapere che tiene desta la sua esistenza troverà una risposta, per opera di quel commissario, che si è procurato la carta di identità del figlio, e consente così al padre Basri di recarsi a Istanbul per il riconoscimento della salma del figlio, tramite prelievo del Dna. Lo ritroveremo Basri, nella sua casa, con una cassetta nella quale sono riposte le resta di un figlio che ha combattuto per un mondo contro questo mondo. Ora Basri ha raggiunto il senso della sua stessa esistenza, e forse la sua solitudine potrà essere finalmente libera di esprimersi in tutta la sua trasparenza. Tralascio volutamente altri particolari della trama per non svelare alcune note di thriller.
La prima cosa da dire è che si tratta d un film coraggioso, soprattutto da un punto di vista politico, perché manifesta come la Turchia abbia passato un periodo simile a quello del Cile o dell’Argentina. Inoltre fotografa tramite l’esistenza di Basri un paese decomposto, lacerato nel suo passato e nel suo presente, che non riesce a prendere una strada certa verso i diritti umani e civili, nonostante tentatavi siano in atto (figura ambivalente del commissario). La solitudine e l’incomunicabilità delle esistenze emergono con i silenzi che registrano lo stato d’animo, disfatto dalle freddezze burocratiche, dalle condoglianze formali, il tutto ripreso con una regia che sa essere presente con rigorosa camera fissa e piani-sequenza con i quali evidenzia le dinamiche e le aree in un modo molto realistico, ma non distaccato, coinvolgendo lo spettatore, trasportandolo con delicatezza nell’assurdità del mondo di Basri, la cui esistenza diventa così un vero e proprio profilo di storica attualità, perché la muffa possa essere vista alla luce del sole e dunque, in qualche modo, aggredita…
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