Regia di Damiano Damiani vedi scheda film
Un gran bel film di mafia, per quanto risentisse di una matrice artigianal commerciale da tv, come da prassi negli sventurati anni ’80. Il realismo e la freschezza sono illuminanti, nella loro verità tragica.
Il protagonista è il fratelli minore di Placido, ben interpretato da uno sconosciuto Mark Chase: indignato, genuino, non si piega all’orrore. Non vuole uccidere il cavallo, dato che non ne ha nessuna motivo; ma neppure vuole uccidere l’uomo, per analoghi motivi di umanità. Sono gli stessi per i quali ha perso il lavoro: non era disonesto. Il pescivendolo viene ucciso perché è onesto: non vuole pagare il pizzo.
Damiani, che qui compone soggetto e sceneggiatura, va al cuore del problema, che è del potere di sempre, in gran parte, e non solo di quello mafioso; chi ha dei valori morali proprio per questo non fa carriera. La carriera la fa chi non vuole averne, e proprio perché non ne vuole avere.
L’altro esempio è il giudice: roso dal sospetto che il padre fosse corrotto, lui non vuole esserlo. Proprio per questo viene massacrato. A colpi di bazooka, in pieno centro, con apoteosi di barbarie, che purtroppo la realtà non ha visto limitata alla sola fiction. Straordinario il dialogo in cui il giudice si rifiuta di accondiscendere alla proposta del suo sottoposto, una proposta tradizionale e vincente: far affari con certi criminali, avvantaggiandoli, pur di avere quelle informazione e quell’appoggio che sono indispensabili per fermare alti criminali, che al momento appaiono ancor più importanti da fermare. Ingiustizia fomentata dallo stato, pur di fermare altra ingiustizia. Pagherà questa insensatezza il giudice, ma soprattutto per questo: attaccherà i politici e i ricchi, quei piani alti che consentono protezione a Cosa nostra. Il giudice può dire: «È il giudice a dover sempre essere scortato: qui sembra lui il vero delinquente».
Il film mostra bene poi la disinvoltura con cui la mafia era penetrata, ed era stata lasciata penetrare con modalità corrotte, nello Stato, condizionandolo e guidandolo. La tattica del “corvo”, dell’informatore della mafia in seno alle istituzioni, è resa bene. Così come i vari livelli di potere: indecifrabili, ma se ne sa abbastanza perché ognuno sappia che dev’essere disonesto e fare la sua parte nel male. Solo così potrà continuare a prosperare.
Splendida anche la storia d’amore, pulita, che segna subito un’impennata nella tagliente sceneggiatura: la minorenne che si deve prostituire per volere della madre e del patrigno, solo per pagare l’eroina la fratello maggiore, prediletto. Un orrore, consumato in modo abitudinario, nella più corsiva quotidianità dell’ignoranza e del degrado, da cui si riscatta solo il protagonista, pronto a rischiare di tutto. Il che è un emblema dell’unica soluzione: i valori morali seri sono l’unica diga contro la violenza, che altrimenti non può che prevalere.
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