Regia di Brian Helgeland vedi scheda film
Sport and good feelings costituiscono un binomio tra i più indissolubili del cinema a stelle e strisce, con tanti film alle spalle ma soprattutto tante storie da raccontare.
Il rischio è quello che si somiglino quasi sempre un po’ troppo e anche in questo caso non si può inneggiare al principio di originalità, ma il soggetto è assolutamente vincente e il film realizzato con la piena consapevolezza di come muoversi e dove andare a colpire (con un bel fuoricampo).
Appena terminata la Seconda Guerra Mondiale, il baseball professionistico statunitense è uno sport per soli bianchi, quando Branch Rickey (Harrison Ford) decide di ingaggiare un nero per i suoi Brooklyn Dodgers.
Jackie Robinson (Chadwick Boseman) ha tutto per sfondare, ma oltre al campo di gioco dovrà vedersela con chi non accetta questa novità, a partire dai suoi compagni e i suoi avversari, fino all’uomo comune americano.
Tutto ha un inizio e questo film diretto da Brian Helgeland ci racconta del primo nero nel baseball professionistico, mantenendo uno stile di racconto fluido e armonioso, con un approccio diretto che predilige il ritmo ad approdimenti potenzialmente insidiosi.
Un film corretto, nel rispetto dello stile dell’America di Obama; la sensazione percepibile è di non aver voluto accentuare i toni oltre la dialettica (nel caso dell’allenatore razzista davvero al massimo dell’offesa anche se pur sempre non fine a se stessa) per raccontare una grande storia umana oggi un po’ destinata a (quasi) tutti.
Discreto Chadwick Boseman nei panni del protagonista, gradevole Nicole Beharie che interpreta sua moglie, ma la copertina va doverosamente al personaggio di Harrison Ford, colorito ad hoc («alla fine i dollari sono sempre verdi», tanto per mettere nero su bianco quali sono i suoi pensieri prediletti) per far brillare l’attore, che in effetti funziona come raramente gli è capitato uscendo dai suoi franchise prediletti.
Così, viene raccontata la storia della maglia numero 42, quella (ritirata per sempre) di Jackie Robinson, entrata nell’immaginario più profondo della storia americana, tutto infarcito di frasi per riempire lo sfondo discriminante e una correttezza formale che è sia (buon) merito, sia (discreto) freno.
Ma d’altronde, sembra proprio un film pensato e realizzato con questi modus operandi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta