Regia di Gianfranco Giagni, Ciro Giorgini vedi scheda film
Un'ora di documentario contenente una serie di interviste a ritmo serrato con chi visse gomito a gomito con Orson Welles nel corso del suo periodo italiano (metà anni '50-inizio anni '70); l'idea di partenza è intrigante e il tema è ben sviluppato, sia pure con pochi mezzi e anche se i registi Giagni e Giorgini non ottengono testimonianze di personaggi particolarmente noti. C'è Arnoldo Foà, c'è il montatore Mauro Bonanni, c'è il principe - grande amico di Welles - Alessandro Tasca di Cutò, ma nessun altro nome di un certo calibro del mondo dello spettacolo, a confermare la fama di burbero, di egocentrico e di uomo ritroso e diffidente dallo 'star system' che sempre accompagnò il regista di Quarto potere. L'impressione che sorge alla fine della visione di questo Rosabella è che Welles avrebbe avuto miglior fortuna se fosse nato in Europa - e più precisamente in Francia o in Italia, terreni ben più fertili della gelida industria hollywoodiana per quanto riguarda la creatività e la sensibilità artistica in campo cinematografico. Budget irreperibili, produzioni cieche alle necessità creative del regista, un sistema unanimemente ritorto contro un ragazzo prodigio che non ha mai smesso di stupire: per quanto elementi molto distanti fra loro, non viene difficile accostare le parabole di Welles e Fellini, e qualche analogia spunta pure con Truffaut. Un Autore con la A maiuscola, questo è il ritratto che emerge dal documentario, un uomo sicuro in maniera sprezzante di sè e delle proprie capacità, ma al tempo stesso sempre capace di mettersi in discussione; violento in situazioni di totale tranquillità e impassibile nei momenti di crisi, capace di separare con un taglio netto la vita privata da quella artistica: Welles era tutto questo, vulcanico e imprevedibile, in un aggettivo abusato (altrove senza dubbio, ma non in questo caso): geniale. Giagni e Giorgini (quest'ultimo anche voce narrante esterna) non fanno mistero della loro totale adorazione nei confronti dell'oggetto del loro lavoro, ma in fondo qualsiasi altri indirizzo conferito a un documentario di questo stampo sarebbe stato improbabile, anche e soprattutto per il fatto che un personaggio 'estremo' come questo andrebbe presentato solamente in maniera drastica, per essere semplicemente amato oppure odiato. Come avrebbe certamente voluto lui. 6/10.
Fra la metà degli anni '50 e i primi anni '70 Welles visse e lavorò a lungo in Italia; quel frenetico e iperproduttivo periodo del grande regista americano viene ricostruito tramite le testimonianze di chi in quel periodo stette al suo fianco: amici, collaboratori, colleghi.
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