Regia di George Stevens vedi scheda film
Per ironia della sorte il film che, col suo clamoroso disastro al box office, pose la parola fine (almeno per un bel pezzo) alla sequela di film epici a carattere biblico che Hollywood aveva sfornato copiosamente nel quindicennio precedente, era probabilmente il migliore. Mettere mano ai testi sacri è sempre un lavoro scottante, anche se in questo Hollywood ha sempre dimostrato di sapersela cavare egregiamente nel suo deformare, amplificare, popolarizzare con leggiadra spudoratezza. I "pericoli" nel realizzare un film biblico sono tanti e sempre in agguato; spesso si finisce con un fumettone, oppure con uno spottone religioso o ancora con un semidocumentario. Questo "La più grande storia mai raccontata" riesce a scantonare questi tranelli e quello che più colpisce è la sua resa visuale: se i film dello stesso genere che lo avevano preceduto facevano in primis del colore un'attrazione di per sé, con un uso del technicolor sfarzosamente ostentato e a tratti quasi carnevalesco, quiesta pellicola sceglie al contrario una resa dei colori estremamente naturale. Niente più blu, ori e rossi saturi ad affollare le scene, ma i colori della vera Palestina, i beige, i marroni, i bianchi delle tuniche, il color sabbia della terra arida o desertica qua e là ravvivata da rari arbusti fioriti, l'austerità petrosa delle capanne e persino della reggia. Niente colonna sonora pomposa che opprime con continui squilli di trombe. I momenti che tutto il pubblico aspetta in un film del genere (i miracoli, la danza di Salomé) sono trattati con estrema eleganza e discrezione. Vi sono sequenze di grande suggestione sia a livello di contenuto che di resa visiva. Per fotografia, montaggio, casting e recitazione si tratta di un film che difficilmente si riesce a datare al '65. Sembra molto, ma davvero molto, più recente. Ovviamente è' lungo, Originariamente 4 ore e passa. Poi fu successivamente tagliato. Io l'ho visto nella versione attualmente distribuita su DVD, a 3 ore e qualche minuto. E nonostante il running time importante non direi che questo film manca di ritmo: non è propriamente un film lento, è piuttosto un film "pacato, come pacato e sottilmente carismatico è il suo protagonista, così diverso dalla figura affascinante ma da santino del suo diretto precedente "Il re dei re". Un film che si prende i suoi tempi e anzichè dare per scontato, per raggiungere in fretta i punti spettacolari, costruisce la storia con i giusti ritmi, facendo vivere la vicenda nel suo svolgersi senza affrettature e tagli netti. Insomma un film che non si può neanche dire che sia invecchiato bene, dato che la distanza estetica e di gusto dalle pellicole odierne è quasi impercettibile. Perchè floppò così clamorosamente? Forse perchè si trattava di un film troppo sottile e delicato per essere una hit al box office e attirare le masse (nonostante i molti "camei" di attori noti), forse semplicemente perchè è arrivato fuori tempo massimo e il pubblico americano (quello che conta(va) nel far tornare i conti) era semplicemente stufo di tutti questi "Bible Epic" (curiosamente il 1965 sarà anche l'anno della "morte" dei peplum") . Un film da guardare non con leggerezza, ma quando ci si sente pronti a 3 ore che si propongono di rendere visualmente il racconto dei vangeli canonici (con buon grado di fedeltà) , pronti ad "ascoltare", oltre che guardare, e lasciarsi trascinare dalla calma, dalla riflessione, dai tempi morbidi che poi sono quelli dell'animo. Visto nel momento giusto è un'esperienza quasi mistica.
La cosa più apprezzabile è il suo sapersi fare da parte, non opprimendo con strombazzamenti vari e irritanti le parole e i suoni di sottofondo quando essi sono sufficienti a creare l'atmosfera di quei momenti. Entra in gioco con i suoi Alleluja , ma sempre con una certa discrezione, solo a sottolineare i momenti più salienti e spettacolari della vicenda.
La scena della crocefissione(ivi compreso probabilmente John Wayne nelle vesti di centurione che esclama "questo era davvero il figlio di Dio) . E' l'unica dove la fotografia diventa troppo simile (immagino volutamente) a un quadro ad olio, unica concessione a un'estetica anni '60 da cui la pellicola si era tenuta alla larga per tutto il resto del suo corso,
Il modo in cui vegono gestite le inquadrature, le dissolvenze incrociate, il montaggio, la fotografia, il colore, mi fanno affermare che si tratta di una direzione molto avanti ai suoi tempi.
un Cristo dagli occhi tristi e quasi emaciato, molto diverso fisicamente dal Cristo de "Il re dei re". Un Gesù composto e pacato, ma non privo di autorevolezza, che costruisce il suo carisma piano piano man mano che la pellicola avanza. Il regista voleva per il ruolo del Cristo un volto non particolarmente noto al pubblico americano per evitare le inevitabili associazioni mentali attore-personaggio: scelta giustissima e intelligente.
un Giovanni il Battista "muscolare" non privo di fascino, anzi. Oserei dire meglio qui che in "Ben Hur" e "I dieci comandamenti".
aveva un bel viso, il ragazzo :)
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