Regia di Luigi Lo Cascio vedi scheda film
Michele Grassadonia (Luigi Lo Cascio) è un architetto quarantenne che da circa vent'anni si è trasferito da Palermo a Siena. Per Michele, Siena è "la città ideale" perchè è quella che più di altre gli consentirebbe di vivere in armonia con la natura circostante e di coltivare con rigore la sua accesa indole ecologista. Michele vive cercando di limitare al massimo gli sprechi di energia elettrica, gas e acqua corrente, pratica il continuo riutilizzo degli oggetti, ricicla di tutto e va rigorosamente a piedi. Un giorno, per fare un piacere al suo capo, si mette alla guida di un auto (per metà elettrica) dopo otto anni. Deve andare a prendere una sua collega di lavoro poco fuori città e durante il tragitto, causa anche un violento temporale, prima urta qualcosa di non ben definito e poi va a sbattere contro un auto in sosta. Dopodichè, qualche chilometro dopo, scorge sul ciglio della strada quello che gli sembra un sacchetto della spazzatura che non si trova nel posto in cui dovrebbe stare. Invece scopre che si tratta di un uomo che sta messo molto male e chiama subito i soccorsi. Questa concatenazione di fatti gli sconvolgeranno la vita mettendo in crisi il suo modo di stare al mondo.
"La città ideale" segna l'interessante esordio alla regia di Luigi Lo Cascio, un film che argomenta sul valore affatto oggettivo della verità (guardando all'insegnamento di Leonardo Sciascia) e sulla (in)consistenza degli ideali al giorno d'oggi, e lo fa attraverso una storia che, nel dramma esistenziale in cui piomba un uomo, conserva un senso del grotteso che non è abusato definire "Kafkiano". Lo Cascio fa incontrare poli opposti sul terreno identico di una comune ricostruzione dei fatti, i quali, anche quando sono chiari, possono essere oggetto di interpretazioni diverse a seconda del punto di vista che viene adottato. In questo quadro, il racconto di Michele Grassadonia viene perlomeno ritenuto strano da chi trova inconcepibile che un uomo possa fermarsi di notte lungo una strada isolata perchè preoccupato di un sacchetto della spazzatura incivilmente lasciato per strada. In effetti, entrambe le conclusioni seguono la propria logica, soprattutto se si considera che non tutti i fatti sono evidenti, che ce ne sono alcuni avvolti ancora nell'ombra, fatti che Michele non riesce a chiarire del tutto proprio perchè il suo amore per la verità gli fa dire le cose proprio così come sono. Affatto consapevole che "la natura ventosa dei fatti rende impossibile che la vita ritorni così come è stata, si può solo tentare di raccontarla", dirà l'avvocato difensore Chiantini (Massimo Foschi). Ma intanto, a venire spazzata via è il ragionamento che sorregge il racconto dell'architetto, quello debole perchè non rispondente al comune modo di sentire e vedere le cose, quello ritenuto anomalo perchè poggiato su un idea di mondo che non si sposa con lo spirito dei tempi. Michele Grassadonia diventa, non più un "semplice" imputato a cui viene contestato un incidente colposo, ma un uomo di cui viene messo in discussione un intero sistema di vita. La radicalità delle sue posizioni ideologiche accresce la sua vulnerabilità rispetto ad uomini che vanno "in cerca della vittoria, quasi mai della verità" (dice sempre l'avvocato Chiantini). Michele entra in contatto con una burocrazia tanto ligia a a compiere i suoi doveri canonici quanto incline a considerare sospetta l'evidente integrità di una personalità "alternativa". Conosce il volto tentacolare di quell'arte antica chiamata compromesso e viene sballottato con la mente in situazioni poste al limite del paradossale : dove i fatti gli compaiono come ombre enigmatiche a popolare i suoi percorsi onirici ; dove la sua scelta di estraniarsi dalla società dei consumi si scontra con l'alienante presunzione del senso comune dominante. Tutto questo avviene nella città dove ha deciso di costruirsi una vita a sua immagine e somiglianza, una città che, solo perchè vissuta nei limiti di quella ricerca della perfetta armonia tra uomo e natura, ha continuato a credere "ideale". Emarginato anche dai "compagni" ecologisti, oltre che da quelli che non aspettavano altro che di metterlo definitivamente alla berlina, resta con il peso di essere giunto ad un'amara verità (e che per me rappresenta il senso profondo del film) : che le persone, piuttosto che cercare di comprendere la bontà "ecosostenibile" di certe idee e provare a dargli pratica attuazione, preferiscono trovarvi le falle (o "immergerle nel fango", come dirà l'avvocato siciliano) per autoassolversi attraverso le altrui debolezze e perpetuare così l'autoreferenzialità del proprio sistema di vita. Noi accertiamo la verità di Michele Grassadonia perchè la rappresentazione filmica (altro aspetto interessante del film) ci consente di dare un senso ad un'assurda concatenazione di fatti coincidenti. Altrimenti, la sua sorte dipende da un allevatore di cavalli (Roberto Herlitzka) che potrebbe scagionarlo del tutto ma che non sa se andrà o meno a deporre in tribunale : perchè non sa a quali fatti attenersi e per quale verità. Non gli resta che seguire il consiglio della madre (Aida Burruano) e ripristinare un rapporto più "materiale" con l'esistenza ; non gli resta che tornare a Palermo e chiudere il cerchio con una vecchia storia capitata al padre defunto ; non gli resta che affidarsi all'avvocato Scalisi (Luigi Maria Burruano) che basa la sua difesa "sull'attacco". Non gli resta che affidarsi a quest'uomo scaltro e in odor di mafia che, "come un mago, dal cilindro grigio delle parole, farà uscire un mondo a colori". Il finale ci consegna un sorriso disincantato. Esordio promettente, vediamo il seguito.
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