Regia di Luigi Lo Cascio vedi scheda film
Giovane architetto di origini palermitane trasferitosi a Siena per lavoro, conduce una vita semplice e scandita da piccole manie ecologiste: dalla raccolta dell'acqua piovana per la doccia ad un'ossessiva attenzione per il risparmio energetico. Coinvolto suo malgrado in un banale incidente d'auto, si ritrova ingiustamente accusato di omicidio colposo, iniziando un piccolo calvario fatto di ristrettezze economiche, discredito pubblico e requisitorie giudiziarie.
Scritto, diretto e interpretato dall'autore, questo inconsueto e bizzarro giallo metropolitano rappresenta l'esordio del bravo Luigi Lo Cascio sulle tracce di un'ispirazione polanskiana che traduce una suggestiva matrice letteraria (dalle immaginifiche e provocatorie contraddizioni delle 'città invisibili' di Calvino ai paradossi sociologici dei personaggi di Franz Kafka) nelle forme consuete (almeno per il cinema nostrano) del grottesco e dell'apologo morale, seguendo il suo personaggio lungo un percorso accidentato dove si fa stridente e insostenibile la contraddizione tra le aspirazioni della ragione (la città ideale appunto) e le imprevedibili trappole del caso e di una realtà sfuggente e ingannevole. Se è vero che il meccanismo narrativo appare talora pretestuoso e lacunoso, costellato di situazioni e personaggi che svicolano nel surreale o nel posticcio, è altrettanto vero che l'accumulo progressivo di vicissitudini grottesche alimenta ad arte un clima di sospetto e ambiguità che precipitano lo sgomento protagonista in un 'cul de sac' (per citare sempre l'autore polacco, così fisiognomicamente simile tra l'altro al nostro Lo Cascio) dove colpa e debolezza, casualità e volontà, razionalità e inconscio fanno emergere i fantasmi di una tara familiare ("Io mi domando e dico: ma picchì lassasti Palermo? Ma chi c'ha sta Siena più di Palermo?") da cui non si può sfuggire, nemmeno seguendo gli ostinati percorsi di una 'città a misura d'uomo' vagheggiata dall'idealismo di un ingenuo sogno ecologista. Punteggiato qua e là dalle esasperazioni di una sociologia del grottesco (dalla proditoria aggressività del pubblico ministero di origini meridionali all'eccentrica svagatezza dell'avvocato settentrionale, dalla sinuosa avvenenza della studentessa straniera all'arrancante goffaggine dell'ufficiale giudiziale) perfettamente funzionale allo sviluppo di un climax sospeso tra i reperti del reale e le astrazioni della metafora, ciò che conferisce credibilità al registro narrativo sono piuttosto gli spunti di un lucido onirismo che emergono inaspettati e improvvisi dai recessi di una coscienza scossa dalle infingarde contraddizioni del reale. Film a tesi ("La natura ventosa dei fatti rende impossibile che la vita ritorni così come è stata"), l'esordio nella regia dell'attore palermitano pare convincere a metà, incastrato com'è tra le ambizioni del soggetto ed i limiti della scrittura, ma mostrando anche una riuscita concezione della messa in scena e di un divertente registro tragicomico. Attori bravissimi tra cui spiccano l'istrionismo di abili teatranti come Aida e Luigi Maria Burruano e la salda presenza scenica di un ottimo caratterista come Massimo Foschi.
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