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La città ideale

Regia di Luigi Lo Cascio vedi scheda film

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La recensione su La città ideale

di OGM
8 stelle

Un uomo pulito in un mondo sporco. Luigi Lo Cascio impersona il placido portatore di un sogno di sobrietà, nel quale l’amore per le cose si identifica col desiderio di possederle il più a lungo possibile, evitando di consumarle, di considerarle sorpassate, di sostituirle con altre. Il suo cellulare è un modello vecchio, tenuto insieme con lo scotch. Eppure egli non se ne separa, né se ne vergogna. Anche quel piccolo apparecchio scassato è parte della sua utopia ecologista, proiettata in un avvenire che ha eliminato il superfluo, e dunque è libero dai rifiuti. Per Michele Grassadonia, un architetto quarantenne originario di Palermo, Siena è la città ideale. Si è trasferito lì perché attratto dalla qualità della vita, regolata da ritmi lenti e organizzata in armonia con la natura. Il verde delle colline toscane circonda ovunque le case, le piazze, le chiese, i monumenti storici: tutto è bellezza e pace, nessuno corre, ed è dolce perdere tempo dietro al progetto fantastico di rinunciare all’acqua corrente e all’energia elettrica, raccogliendo la pioggia nei secchi, ed usando un rasoio alimentato dalla dinamo di una bicicletta. Questa follia, sbocciata su un animo infinitamente sincero e generoso, potrebbe addirittura essere scambiata per una laica forma di santità, che invita alla povertà con la forza dell’esempio e del sacrificio personale. Michele è così fedele ai suoi principi ed è tanto determinato nel farli valere da apparire come una figura surreale, l’angelica caricatura di un paladino della lotta all’inquinamento, ovvero un piccolo santone locale che, con i suoi ingenui estremismi, può  trovare ascolto solo nelle realtà più sommesse e  marginali. È di certo un individuo singolare, talmente puro e semplice da non sembrare vero; ed è, soprattutto, a dispetto della sua grande forza interiore, un essere del tutto indifeso. Quando, in conseguenza di una fatale coincidenza, viene ingiustamente indagato per lesioni colpose, Michele non si rende conto di essere come un agnello in mezzo ai lupi. Crede ciecamente nella potenza salvifica della verità, e dunque fornisce, candidamente, la propria versione dei fatti, convinto che la franchezza possa bastare a scagionarlo. In quel momento la peculiarità di Michele si converte, agli occhi degli altri, in una stranezza sospetta; tutti pensano di aver finalmente trovato, sulla sua superficie specchiata, quella macchia che ovviamente non poteva mancare. La perfezione, si sa, non è di questa terra; e anche senza voler a tutti costi vedere, come l’avvocato Scalici, una fogna dentro ogni uomo, è indubitabile che, come dice l’avvocato Chiantini, per quanto si possa lavare un piatto, non si raggiungerà mai il bianco definitivo. Sull’immagine pubblica di Michele si allarga l’ombra del male, dell’errore, dando corpo a quella peccaminosità che, dentro di lui, in realtà, è solo il fugace fantasma della tentazione, uno sfogo solo ipotizzato, un genere di azione che non gli assomiglia e che popola i suoi incubi notturni. Con la mente egli scaccia da sé quello che gli altri cercano in ogni modo di appiccicargli addosso; è il dramma di un uomo ridicolo perché disarmato, e che nulla fa per procurarsi le armi, dato che, per lui, l’innocenza si perde nel momento in cui si smette di essere imbelli. Michele non teme ciò che minaccia di distruggerlo, ma solo ciò che è in grado di contaminarlo. Ha paura dei liquami, ma non della morte, fisica o sociale che sia. È un eroe controcorrente, autenticamente alternativo nella maniera in cui assegna le priorità ed affronta i nemici. E questo film lo ritrae col realismo del saggio, che guarda con rispetto all’assurdità, alla nobile eccezione che, complice la sfortuna, serve a mettere in luce l’indegnità della regola.

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