Regia di Luigi Lo Cascio vedi scheda film
"Sa Grassadonia lei deve sapere che io baso la difesa sull'attacco. Tutti noi siamo fatti di una certa porzione di fango....tutti noi abbiamo una fogna dentro...per questo bisogna cercare a fondo nella vita delle persone...l'indagine è come un temporale: acqua, acqua, tanta acqua...sinché i tubi alla fine non resistono e scoppiano, e ne esce tutta la merda che c'è sotto...Stia tranquillo Grassadonia...lei deve stare solo un pò più attento: è li, dentro nel suo petto, che si gioca la battaglia. Ma lei è davvero sicuro di aver fatto bene a tornare sul luogo dell'incidente? Alla luce di tutto quello che gliene è venuto, lo rifarebbe?" Il film, bellissimo quanto inquietante, si chiude con una smorfia, un sorriso amaro, forse incredulo che si possa arrivate a tanto, del protagonista, interpretato con spessore ed intensità consueta da un Luigi Lo Cascio per la prima volta anche (bravo) regista.
L'odissea giudiziaria, la tragedia di un uomo non certo ridicolo, bensì piuttosto sognatore, ottimista, corretto e per questo disposto a credere o a persuadersi della buonafede altrui, ha - dopo questo lungo monologo finale, splendidamente recitato da un sinistro e mefistofelico (ancora più del solito) Luigi Maria Burruano - una battuta d'arresto, quasi un segno di arrendevolezza verso un sistema marcio, corrotto e supponente dal quale è impossibile uscirne armati solo di consapevolezza della propria innocenza e di una serietà di fondo pressoché incorruttibile e dalle profonde radici inestricabili.
La vita all'insegna del rispetto per la natura e per il prossimo del mite architetto Michele Grassadonia, ecologista convinto sino quasi all'eccesso e alla comicità, è sconvolta quando una sera di forte pioggia, con la macchina ibrida (è l'unico compromesso per permettergli di tollerare un mezzo a motore) presa in prestito da un amico, incappa prima un misterioso incidente, urtando col cofano qualcosa o qualcuno di non definito; poco dopo, più avanti, il caso vuole che si trovi a soccorrere una persona stesa sul bordo della strada ed inanimata. Avverte polizia e ambulanza, ma il suo comportamento scrupoloso e insolito induce le forze dell'ordine a maturare sospetti sempre più inconfutabili e smaccati che lui stesso sia responsabile dell'investimento della persona, soccorsa secondo loro per inscenare un soccorso fasullo. Intanto la vittima nel frattempo muore senza riprendere conoscenza, e dunque le possibilità di confutare la versione del protagonista scemano clamorosamente, senza contare che il defunto risulta come è uno dei più potenti personaggi della città di Siena, e dunque la notizia fa il giro della città, della regione, fin sui telegiornali nazionali.
La "città ideale" del titolo tra l'altro è proprio il capoluogo toscano di cui sopra, che Grassadonia, di origini siciliane, individua appunto come il centro perfetto per vivere all'insegna del rispetto per l'ambiente. Peccato che poi lo stesso valore, ma rivolto alle persone, per chi agisce con senso civico e scrupolo nei confronti dei bisognosi, viene invece maldestramente e supponentemente interpretato come un comportamento troppo al limite per essere considerato di buona fede e attuato senza altri fini se non l'inganno e l'occultamento della verità. L'incubo giudiziario toccherà il suo culmine con l'incontro del terzo avvocato a cui Grassadonia si rivolge, un compaesano corrotto e colluso che al confronto i primi due difensori assumono la veste di angeli custodi.
La città ideale e un film maturo e ben sceneggiato, forte di una tensione crescente da thriller consumato e sciolto, e un'ambientazione di provincia, dunque schietta ma pure allarmante, che ricorda certe commedie dell'assurdo di Elio Petri o Nanni Loy, magari con Sordi protagonista.
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