Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
IL CINEMA AI TEMPI DELLA QUARANTENA
Alfonso è un quarantenne che commercia in auto, e le cose economicamente gli vanno piuttosto bene, al punto da cercare finalmente di sistemarsi e mettere su famiglia.
Con l'aiuto di un prete, ha modo di entrare in contatto con la bella ed illibata Regina, ragazza di buona famiglia rispettosa di saldi ed inflessibili principi religiosi.
Dopo un casto fidanzamento, i due convolano a nozze, costringendo lo sposo a trasferirsi in quel malsano ambiente familiare ove la ragazza è praticamente incastrata, pur consapevole della situazione.
Ivi l'atteggiamento, prima pudico e riservatissimo della ragazza, muta di colpo e la donna, spinta da una incontenibile esigenza di sesso a fini riproduttivi, finisce per consumare letteralmente il suo partner, sia fisicamente che psicologicamente, al punto da trasformarlo in un fuco con funzione meramente riproduttiva.
La donna finirà per sostituire anche sul lavoro l'uomo, ottenendo peraltro risultati più brillanti del consorte che, dopo aver finalmente dato corso al suo compito fecondativo, viene sempre più relegato in un letto come un malato da tener distante e, sempre più consumato da un malessere che lo divora, finirà per morire poco prima della nascita del nuovo erede.
Il primo film italiano di Marco Ferreri, dopo l'esperienza degli esordi spagnoli di El pisito, Los chicos e El cochecito, si trasforma, sin dalle premesse scritte che appaiono come preambolo alla vicenda, in un sarcastico e dirompente atto d'accusa contro la bigotta e deviata morale cattolica, e ancor più contro una società borghese chiusa in se stessa, che ne diviene succube e schiava, finendo per fagocitare a proprio uso e consumo chi prova a mettere in discussione dogmi che la razionalità tende a respingere o a mettere in discussione.
Ugo Tognazzi è perfetto a dar vita ad un personaggio ricorrente nella sua carriera d'attore, ovvero quello del borghese che tenta di evolversi, finendo schiacciato dalla propria ambizione e dalla propria ingenuità di fondo.
La affianca una burrosa Marina Vlady, perfetta per rendere i tratti erotici ed invitanti di una donna che attira a sé il suo partner, utilizzandolo per ottenere il proprio scopo, ed abbandonandolo come un oggetto desueto destinato alla rottamazione.
Per le sue velleità polemiche ed anticonformistiche, il film fu vittima di molti tagli da parte della censura dell'epoca, che inferì anche sul titolo, aggiungendo all'originale e sarcasticamente allusivo “L'ape regina”, anche l'iniziale ma decisamente più standard e meno evocativo “Una storia moderna”
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