Regia di Eric Nicholas vedi scheda film
Amor fou nell'era dell'immagine e del morbo della solitudine da terzo millennio. Eric Nicholas guarda forse un po' a My Little Eye per parlare dell'invasività dell'immagine e dell'ossessione, riuscendo con una musica insinuante a rendere inquietanti immagini apparente inoffensive, inquadrature sbilenche su una realtà inconsapevole di essere osservata. Anche quando lo stalker protagonista, Doug, non è in scena, ne avvertiamo la presenza, dietro quelle piccole telecamere nascoste che lui, innamorato follemente di Amy, pone nella di lei casa, incurante della privacy, ma interessato a scacciare qualunque ostacolo possa porsi contro la loro possibile futura relazione, che sembra però scoraggiata dal fatto che lei non ricambi. Scrutiamo, costretti al voyeurismo (ma senza provocazioni esagerate), gli spazi quotidiani come avveniva nel film di Marc Evans, in cui però i protagonisti erano consapevoli del fatto che fossero osservati, ma noi non sapevamo chi fosse ad osservare. Senza voler quantificare in base a questo la portata di inquietudine di questi due bei thriller psicologici, si può arrivare a considerarli complementari, importanti e notevoli nel clima del found footage d'oggi, film che hanno il coraggio di non parlare di fantasmi, allo stesso modo di Exhibit A (grande POV da recuperare).
La cosa però più importante di Alone with Her è l'affetto che si finisce per provare per personaggi a loro modo tutti vittime e carnefici, in modi diversi e in maniera più o meno inconsapevole, ma tutti quanti parte di un gioco relazionale umano che non lascia scampo. La gelosia ricorda il mediocre eastwoodiano Brivido nella notte, ma qui con molta più enfasi e impatto emotivo, anche perché alla fine, guardando con gli occhi di Doug, finiamo paradossalmente per sperare che il suo sogno d'amore puro possa esaudirsi, a prescindere dai metodi, che comunque non si arriva mai a giustificare. Amy, invece, non è soltanto una vittima, o meglio, è carneficie consapevole con la sua bellezza e in quello che è il corso naturale dei rapporti umani, specie quelli amorosi, un corso che porta sempre a un processo distruttivo, qui esplicitato, nella realtà spesso implicito. E' una carneficie perché desta la follia di Doug, ma non è una carneficie volontaria. La dimensione di bene e male è schierata per bene, ma si insinua quella strana sensazione di ossessione tale da farci credere, come Doug, che lei dev'essere solo nostra, e la sua ossessione diventa la nostra ossessione. E' innegabile il nervosismo di quando lei sta per avere un rapporto con un altro uomo, o il desiderio di sentire parlare di Doug durante le conversazioni private di lei con l'amica. Non c'è uno sfondo di misoginia in questo, ovvero nel fatto che lei sarebbe una 'carneficie', ma grande voglia di essere problematici, e di non fermarsi alla pura inquietudine fine a sé stessa e che, inutile dire, in questo film sale alle stelle. Se i muri potessero parlare..
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