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Pingpong

Regia di Matthias Luthardt vedi scheda film

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La recensione su Pingpong

di Peppe Comune
7 stelle

Dopo la morte per suicidio del padre, Paul (Sebastian Urzendowsky) decide di passare un po’ di tempo a casa dello zio Stefan (Failk Rockstroh), il fratello della madre con cui non ci sono mai stati buoni rapporti. Questi vive in una grande casa con giardino situata in prossimità di una zona boschiva insieme alla moglie Anna (Marion Mitterhammer) e al figlio Robert (Clemens Berg). Anna è un ex pianista che passa il suo tempo ad accudire il suo amato cane e ad invogliare il figlio a migliorarsi nel suono del pianoforte. Robert, invece, è un ragazzo alquanto introverso che sembra preoccuparsi solo di apparire come i genitori vogliono che sia. Durante l’assenza dello zio per motivi di lavoro, Paul cerca di rendersi utile per la casa proponendosi di mettere a posto la piscina. Cosa accolta con favore da tutti, che almeno scuoteranno un po’ la loro vita monotona. Paul e Robert sono ragazzi molto diversi e il loro rapporto è abbastanza normale, ma a entrambi piace giocare molto a pingpong. Con la zia Anna, invece, le cose sono più complicate, perché il ragazzo scopre di essere attratto sessualmente da lei e sembra che la cosa non dispiaccia affatto alla donna.

 

 

“Pingpong” del regista olandese (ma di formazione tedesca) Matthias Luthardt è un film che si iscrive a pieno titolo in quel filone cinematografico che poggia la sua poetica sull’ispezione della vita domestica della “tipica” famiglia borghese per farne emergere le contraddizioni più o meno latenti. In quest’ottica, un autore come Claude Chabrol in generale e un film come “Teorema” di Pier Paolo Pasolini più nello specifico, rappresentano dei punti di riferimento quasi inevitabili. Ma a me ha ricordato molto “Nella casa” di Francois Ozon, sia per l’atmosfera “domestica” d’insieme, sia per quel tratto d’ambiguità mai smascherato del tutto che caratterizza i comportamenti dei protagonisti. “Pingpong” è un film però più chiuso, perché si risolve in un intreccio con soli quattro personaggi e perché il tutto si svolge in un arco temporale di soli sette giorni. Lo si potrebbe definire quasi un film da camera se non fosse che molta azione si svolge nel grande giardino della casa e nel rigoglioso bosco circostante. Questa spazialità circoscritta è servita all’autore per rendere ancora più implodenti i sentimenti che nascono dal reciproco rapportarsi e sempre più evidente l’idea che, anche in contesto dove impera la bellezza, non tutto è come sembra. Così, come le persone si possono rivelare diverse da come appaiono, uno splendido lago può avere l’acqua inquinata e perciò restituire alla superficie dei pesci morti e una graziosa piscina rimessa a nuovo può rappresentare l’ultimo atto di un disegno malevolo ben congegnato.

Matthias Luthard trattiene gli impeti sentimentali e lascia che le cose avvengono con lentezza, le reali intenzioni sono sempre trattenute, lasciando sempre un dubbio su quali siano veramente. È naturalmente Paul il centro propulsore del tutto, è la sua persona ad offrire una sorta di sponda compensatrice per chiunque altro. Stefan ha l’occasione di ripianare “vecchi conflitti di natura materiale” con la sorella che non vede spesso e a cui neanche è stato vicino dopo la tragica morte del marito. Offre ospitalità al nipote facendo lo zio che si carica di un’inusuale responsabilità filiale. Robert trova un complice a cui poter confidare i suoi vizi nascosti e con cui rimettere mano alla sua passione per il pingpong. Paul lo libera dal dovere formale di fare solo il bravo figlio di famiglia obbligato a dare delle soddisfazioni ai genitori. La sua presenza fa emergere dei vuoti relazionali che rimanevano latenti  : rispetto a un padre che è sempre fuori per lavoro e a una madre che sembra interessata solo al suo talento musicale. Anna, invece, trova un modo per riaccendere la sonnacchiosa ruotine casalinga. Non è infatti un caso che lei ami molto il suo cane e che per riempire le giornate è alle sue cure che dedica molte attenzioni. Il marito é spesso assente e il figlio la riporta all’ossessione di impegnarsi per vederlo realizzato come un grande pianista. Paul, invece, le fa riassaporare il gusto delle cose semplici (come fare una passeggiata nel bosco o fare colazione chiacchierando) e delle azioni pratiche (come comprare il necessario per aggiustare la piscina). Ma, soprattutto, nel ragazzo trova il pretesto per imbastire una seducente relazione di sguardi, per un rapporto che si muove al limite tra la protezione a sfondo materno e un gioco adulto che può nascondere inopportune implicazioni sessuali.

Lo sviluppo narrativo del film mantiene volutamente ambigue, sia le reali intenzioni del ragazzo, sia gli effettivi sentimenti scaturiti nella donna. Quello che non viene chiarito (al di la dei miei possibili limiti interpretativi) e se Paul sia semplicemente (e pacificamente a questo punto) venuto a passare un po’ di tempo a casa dello zio o se ha voluto agire in un modo prestabilito per romperne la solidità familiare. Ci sono indizi che fanno propendere sia per la sincerità di sentimenti sviluppatisi in una maniera del tutto inaspettata, sia per un progetto meditato che è stato delineato in tutte le sue linee generali. Ma come spesso capita, la verità probabilmente sta nel mezzo e Paul ha avuto solo il ruolo funzionale di acuire degli stati d’animo già precari, di allargare delle crepe già aperte. Forse, quello che è successo è semplicemente ciò che spesso succede nelle famiglie borghesi quando un “agente” estraneo ed esterno rispetto al loro spirito di corpo arriva a scombinare consolidati equilibri morali (sarà per questo che un film come “Teorema” rimane così importante ed è diventato così seminale). Quando la sua semplice presenza basta da sola a far si che la forma esteriore della morale borghese venga costretta a confrontarsi con le sue più intime pulsioni interiori.

Il finale spiazzante e aperto ad ogni possibile soluzione interpretativa, conferma l’idea che l’aspetto più interessante del film è quest’ambiguità irrisolta che fa da sfondo insistente per tutta la sua durata. Le partite al tavolo di pingpong sono gli unici momenti veramente autentici, delle soste rigeneratrici dove i lati caratteriali di ognuno sembrano esprimersi senza alcuna mediazione formale. Delle sfide leali in mezzo a tanta sfiancante competitività. Film da consigliare del “nuovo” cinema tedesco.   

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