Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Il trentaduenne Seiji Hazumi è un genio del male, un uomo che sin dall'adolescenza ha fatto terra bruciata attorno a sé, seminando morte tra chi intralciava la sua strada (genitori compresi) ma riuscendo sempre ad uscirne pulito, simulando suicidi, incidenti od aggressioni. Laureato in tutt'altro (economia) ad Harvard ma impiegato come professore di inglese in Giappone e approdato da appena un anno al liceo privato Shinko Academy, Hazumi è considerato e stimato dai colleghi e ben voluto e idolatrato dagli alunni (e soprattutto dalle alunne) per la capacità che ha di insinuarsi viscidamente e trasversalmente nel tessuto sociale e di offrire soluzioni che tengano lontano il clamore da ogni tipo di problema, sia che si tratti di disarmare copiatori professionisti, sia che si debba arginare il bullismo o intervenire su uno spinoso caso di molestie sessuali.
Tuttavia il potere e la considerazione guadagnati all'interno dell'istituto lo portano ad inimicarsi l'invidioso Masanobu Tsurii, un collega che, dopo un incendio doloso che ha causato la morte di un genitore apprensivo e piantagrane, inizia ad indagare sul suo passato e a cercare di dare un senso alla scia di sangue che s'è lasciato alle spalle, ignorando però che questi, fidandosi solo di sé stesso e non potendosi permettere errori di valutazione, ha sistemato cimici in diverse aule, ed è quindi al corrente delle suoi sospetti e delle sue mosse.
Presentato in concorso alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Lesson of the Evil (Aku no kyôten in originale) è (stando ai dati forniti dal sito IMDb.com) l'ottantottesima direzione di Takashi Miike tra film lunghi medi e corti ed episodi di serie tv, da lui stesso scritto adattando per il grande schermo l'omonimo romanzo di successo di Yûsuke Kishi.
Tornando, dopo le numerose divagazioni degli ultimi anni, al proprio genere preferito, il regista nipponico presenta un thriller inzuppato di sangue ma altrettanto venato da una corposa componente di humor nero, incentrato sulla lucida follia di un personaggio sadico e doppio, un sociopatico dalla faccia pulita e i modi rassicuranti che vive con due corvi che chiama Huginn e Muninn ('pensiero' e 'memoria'), come quelli che secondo la mitologia norrena servono Odino (il dio della guerra e della morte), e che uccide per missione, seguendo una propria morale rigida e deviata.
Nonostante le ottime premesse, Lesson of the Evil può ritenersi però riuscito soltanto a metà: colpa, probabilmente, di una sceneggiatura a tratti arzigogolata che mette troppa carne al fuoco, sia in senso metaforico che reale, perché affida ad una prima parte verbosa e talvolta prolissa il compito di introdurre una miriade di personaggi secondari che spesso faticano a trovare il necessario spessore (eccezion fatta per Keisuke, uno degli scolari meno sensibili al suo charme, e soprattutto per Miya, la studentessa che - salvata dalle molestie di un altro professore - si getta infatuata tra le sue braccia) divenendo meri bersagli mobili per il fucile a pallettoni del protagonista durante la seconda, che consta in quasi un'ora di mattanza durante la quale se da un lato la regia - supportata da una fotografia (di Nobuyasu Kita) abile nello scaldare i toni e da un montaggio (di Kenji Yamashita) ritmato e scorrevole - si tiene su standard elevatissimi, con invenzioni visive a ripetizione e grande profusione di ironia grottesca, dall'altro a latitare è fatalmente la tensione, sicché la partecipazione emotiva e intellettiva dello spettatore finisce pigramente limitata ai quesiti sull'identità della vittima successiva e sulla modalità della relativa esecuzione.
Irregolare, imperfetto, forse troppo lungo, ma fornito di una cospicua dose di fascino perverso, Lesson of the Evil trae un ulteriore motivo di suggestione dall'utilizzo caratterizzante e ossessivo del brano Die Moritat von Mackie Messer contenuto nell'Opera da tre soldi di Bertolt Brecht che, proposto sia nella versione originale tedesca musicata da Kurt Weill che nella successiva interpretata in inglese da Ella Fitzgerald e rititolata Mack the Knife, e fischiettato spensieratamente dal professore assassino, si erge a tema sonoro dominante ed offre una metafora semplice, sinistra e calzante:
«Oh the shark has pretty teeth dear,
And he shows them pearly white
Just a jack-knife has Macheath dear
And he keeps it out of sight.
Oh, the shark bites with his teeth, dear
Scarlet billows start to spread
Fancy gloves though, wears Macheath dear
So there's not, not a trace of red».
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta