Regia di Gaël Morel vedi scheda film
Il "clan" del titolo racchiude in sé la conflittuale complicità che unisce, nelle difficoltà e nel dramma, tre fratelli dai sedici ai venticinque anni, orfani di madre e con un padre che non si può più di tanto occupare di loro: ragazzi di vita che crescono dunque come figli della strada e del malaffare, degli espedienti e del sogno di ricchezza facile, in un Francia della banlieue dagli spazi enormi e solo apparentemente ed esteticamente sotto controllo. Il più grande, Christophe, e' uscito da poco di prigione e proprio per questo appare come il più saggio e misurato dei tre, intenzionato a riscattarsi lavorando duro presso un macello ed accettando a suon di sacrifici e compromessi un crecendo di incarichi e responsabilità. Marc, quello mezzano, è il più problematico e sensibile dei tre: mai recuperato il trauma subito in seguito alla morte della madre, il giovane spaccia e si trova coinvolto in un brutto affare dal quale subirà una amara lezione, che avrà come epilogo l'uccisione del suo amato cane per sua stessa mano. Meditera' vendetta senza riuscire a persuadersi di essere un vigliacco e di non avere il coraggio di consumare e dare sfogo alla sua sete di giustizia. Infine Olivier il più giovane e ancora sostanzialmente bambino e candidamente immaturo, vive una storia d'amore più platonica che consumata con un aitante coetaneo, ballerino di strada con cui condivide ritmi e coreografie, tra scorci urbani da periferia degradata travestita con arredo urbano da paese civilizzato. Gael Morel punta come sempre sulla fisicita' prorompente della giovinezza, sui corpi denudati e sinceri, sull'ardore degli istinti omoerotici che qui vedono completamente esclusa la donna, se non nel ricordo quasi divino di una madre ormai lontana, ma non per questo dimenticata. Una storia come tante, affrontata tuttavia con accorata partecipazione da un gruppo di attori maghrebini piuttosto noti oltralpe, anche e soprattutto dal cinema gay e da autori celebrati e di valore come Ozon e Lifshitz. Tra questi citerei certamente il sensibile Stephane Rideau, ma pure il nervoso Nicolas Cazale' e non meno il Salim Kechiouche visto ed apprezzato nel recente "Adele" di Kechiche.
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