Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Una cosa è certa, Danny Boyle non è un regista avvezzo alle mezze maniere e con questo suo “Trance”, dopo due pellicole in zona Oscar (il trionfo immeritato di “The millionaire” e le nominations di “127 ore”), torna, o forse meglio dire approda, su un campo più personale nel quale può sbizzarrirsi portando all’estreme conseguenze il suo modo cinetico e virulento di intendere il cinema.
Simon (James McAvoy) si trova nei guai, infatti dopo aver perso la memoria non sa più dove ha nascosto un dipinto di Goya che ha rubato in seguito ad un piano eseguito con dei malfattori poco raccomandabili.
Il loro capo Franck (Vincent Cassel) pensa quindi ad un’ipnotista (Rosario Dawson) per risvegliare i ricordi rimossi di Simon, ma più la donna si addentra nel problema, più tutti gli interpreti della vicenda scoprono che le cose sono nate ed andate in maniera diversa da quanto si immaginavo (almeno alcuni di loro).
Cinema trasbordante per novanta minuti tiratissimi che partono immergendoci immediatamente nel vivo della vicenda col furto ed il successivo risveglio di Simon.
Non si perde un minuto, il colpo di scena è sempre dietro l’angolo tanto che ad un certo punto si ha la sensazione di essere letteralmente travolti dal film, dai suoi continui sviluppi e dai cambi di prospettiva (tanto che il concetto di “buono” e di “cattivo” viene ribaltato con facilità estrema) , con un dualismo tra realtà e sogno che per certi versi ricorda “Inception” (il collegamento risulta immediato) rappresentato però con uno stile assai più vicino a Guy Ritchie piuttosto che a Christopher Nolan.
Una vera e propria sbornia di rivelazioni, una trama arzigogolata che sicuramente presenta più di qualche crepa (giusto per fare un esempio è impensabile che un cadavere possa rimanere per così tanto tempo nel baule di un auto lasciata in un parcheggio pubblico senza che nessuno si accorga dell’odore), ma che riesce anche ad essere galvanizzante per il suo riuscire a far capire “dopo” il perché di fatti e comportamenti già avvenuti e ci sono talmente tante situazioni compenetrate che lo stimolo di ricerca mnemonica è messo sotto pressione.
Un modo di far cinema destinato inevitabilmente a dividere, sospeso tra pretese autoriali (nel senso che Danny Boyle non fa concessioni e porta avanti il meccanismo dall’inizio alla fine senza piegarsi anche quando forse sarebbe stato il caso di farlo, anzi se possibile aumenta sempre il voltaggio) e grandi capacità di ripresa (nell’accezione più moderna del termine), peraltro aiutato da un cast spigliato (e Rosario Dawson direi che è anche più di spigliata …) che riesce a stare al gioco.
Film dunque quasi traumatico (si arriva alla fine con il cervello fumante se ci si è impegnati a star dietro a tutti gli sviluppi), terribilmente affascinante, ma anche non completamente risolto, che ha comunque a mio avviso molti più pregi che limiti.
Ipercinetico.
Porta il suo stile, già ridondante e convulsivo, ancora oltre a quanto ci si potesse immaginare.
Regia affascinante, ma non sempre precisa.
Più a suo agio nella prima che nella seconda parte, quando il carattere del suo carattere muta parecchio.
Più che sufficiente.
Dapprima sembra relegata in un ruolo marginale, ma più passa il tempo più diviene figura centrale.
E non solo perchè si regala "come mamma l'ha fatta" (roba da convulsioni in diretta).
Discreta.
Anche il suo personaggio cambia nel corso della narrazione, ma riesce comunque ad essere caparbio in ogni frangente emotivo.
Bravo.
Diciamo che il suo personaggio non è proprio fortunato.
Nei panni di un criminale al fianco di Franck.
Non può offrire più di tanto, ma è comunue protagonista di una gran bella scena (quella della fossa).
Sufficiente.
Sufficiente.
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