Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Decostruire, decostruire e decostruire. L’imperativo manifesto del cinema dopo il post-moderno è decostruire, frammentare, ma anche estetizzare, patinare, sterilizzare l’immagine e il materiale narrativo. Ma questa, si sa, è acqua calda, anche perché molti sono i nuovi registi di tutt’altro indirizzo come Steve McQueen e Andrew Dominik, molto più classici nonostante un approccio visivo molto personale e quindi fuori dagli schemi canonici. Danny Boyle invece, non si tradisce e riesce ugualmente a mettere a segno una pellicola nonostante qualche scivolone nel primo tempo. E per scivolone intendo solo una fin troppo pedante ricostruzione e tri-costruzione della rapina e dei vaghi ricordi di James McAvoy, il protagonista ingannato e ingannatore, che rede l’avvio del film difficile da seguire se non per la bellezza estetica e il montaggio virtuoso di cui il regista è maestro.
Nel secondo tempo invece si raggiunge l’estasi visiva di Sunshine (2007), mentre narrativamente i continui twist, colpo dopo colpo, incasinano la trama tradendo e confondendo lo spettatore, ma senza allentare l’attenzione e l’interesse per il film che si fa sempre più estetico e lascia all’immagine la summa del discorso.
In Trance resta così fedele alla grammatica cinematografica del regista. Estetizza la narrazione e narrativizza l’immagine. Gioca di superfici riflettenti, frantuma la visione e l’inquadratura con il profilmico e ci regala una sequenza finale che è un’esplosione di sensi e di emozioni e di percezioni. Un vero e proprio orgasmo visivo suggellato da esplosioni irruenti e devastanti che sanno molto di sessualità repressa, e dopotutto la storia clinica sessuale del protagonista è una storia di castrazioni e passioni violente. Inoltre il nudo integrale di Rosario Dawson è uno di quei momenti cinematografici preparato, anticipato, introdotto e presentato con l’erotismo veloce e al tempo stesso perturbante dei giorni nostri. La fica rasata della bellissima attrice tarantiniana e quel suo viso irregolare che la fa piacere o non piacere, è un vero e proprio luogo del cinema dopo il postmoderno.
Se per molti Boyle gioca a Nolan senza riuscirci, oppure teorizza la perturbazione sessuale come Antichrist (2009) giocando però di sottrazione, io dico che zoppica nel primo tempo anche volutamente, per preparare lo spettatore a un gran finale devastante che riazzera gli assi del sistema dei personaggi – mai comunque fin troppo chiaro – e conferma di saper maneggiare senza troppa cura il materiale narrativo come quello visivo, shakerando l’immaginario e facendo di un’immagine il melting-pot del complesso dei nostri stadi emozionali.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta