Regia di Danny Boyle vedi scheda film
L’ipotesi del quadro rubato. Una tela di Rembrandt, realmente trafugata da un museo di Boston nel marzo del 1990, e mai recuperata, è il misterioso pegno di una memoria perduta. Simon Newton lo stava battendo all’asta, quando una banda di rapinatori ha fatto irruzione nella sala per mettere le mani su quel prezioso bottino. Simon è stato colpito alla testa, e i ladri sono fuggiti. Lui, operato al cervello, è rimasto affetto da amnesia, mentre loro si sono ritrovati con una cornice vuota. Simon evidentemente è riuscito a salvare il dipinto, e a metterlo al sicuro da qualche parte, ma non può ricordare dove. Scoprire quel nascondiglio è un missione di interesse criminale, ma di carattere psicanalitico. La dottoressa Elizabeth Lamb deve contemporaneamente curare un paziente, servire la causa di un gruppo di malfattori, e aiutare a risolvere un caso. E forse, tacitamente, persegue anche un altro inconfessabile scopo. La trance è uno stato di sospensione della coscienza, che introduce nell’individuo un nuovo tipo di lucidità, capace di penetrare le barriere dell’oblio. La suggestione ipnotica apre inattese finestre su un passato rimosso, riportandolo in superficie, oppure alterandolo ad arte, al fine di produrre nel soggetto reazioni volutamente alterate. Realtà ed immaginazione sono i frammenti di un mosaico cangiante che tenta di ricostruire la verità variando le possibili combinazioni. Ed il percorso, compiuto attraverso i nebulosi meandri di una mente instabile e confusa, può essere quello prescritto da un preciso piano che di terapeutico ha davvero poco. Il condizionamento del pensiero può seguire vie contorte, che ingarbugliano le idee per confondere le acque. L’azione pilotata si camuffa e si intreccia con il sogno, la visione, l’emozione suscitata da un’autentica esperienza di vita. Simon deve attraversare, in maniera effettiva o meramente virtuale, i vari livelli di un videogame cerebrale, che prevedono di sperimentare il dolore, la paura, l’amore, l’odio per avvicinarsi alla meta finale. Occultare e riesumare sono le fasi, ugualmente complesse, di cui si compone il tipico sviluppo di un giallo: in questo film sono applicate alla manipolazione della volontà, che deve eseguire ordini per poi dimenticarli, ed infine disseppellirli senza ricostruirne per intero l’origine. La parte che rimane in ombra, sottraendosi al controllo dell’ignara vittima del gioco, è il tassello mancante che permetterebbe di ricomporre la continuità logica degli eventi, scardinando il meccanismo che scrive e cancella le frasi del racconto. Il buco continua a spostarsi, e non si lascia riempire: è lui l’eroe in fuga di questo action movie neurologico, avvincente perché ostinatamente ingannevole, in grado di volgere repentinamente l’evidenza sensoriale in enigma allucinatorio. Ciò che appare ai nostri occhi può essere incompleto o perverso, eppure ci si può credere con tutta l’anima. In Trance ogni effetto, per nostra fortuna, è ugualmente potente: le mostruosità della fantasia e lo squallore del dato reale. È la forza della percezione che continua a schizzare via, lungo le furiose linee degli eccessi delle grandi passioni e delle irresistibili manie. Ed è come il vento che, sotto forma di violente pennellate di luce abbagliante e di impenetrabile oscurità, sferza gli uomini e i flutti ne La tempesta sul mare di Galilea.
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