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Il pistolero segnato da Dio

Regia di Calvin Jackson Padget (Giorgio Ferroni) vedi scheda film

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La recensione su Il pistolero segnato da Dio

di scapigliato
8 stelle

Un titolo che evoca tragedia e morte, disperazione e ineluttabilità. Non sarà proprio così nel Montana della guerra del bestiame, ma il film del professionista Giorgio Ferroni ha i caratteri dell'opera nera, quasi gotica. La storia è quella di Uragano West, ovvero il timido Gary interpretato da Anthony "viso triste" Steffen, che deve subire angherie e vessazioni, umiliazioni su umiliazioni, perchè un trauma infantile, da cui il "segnato da Dio" del titolo, lo ha reso fragile e insicuro. Soprattutto davanti agli atti violenti, in cui si blocca, trema, scappa e beve. Passa la vita, dieci anni ormai, con un circo. E' Uragano West acrobata della Colt, ma nulla più. Tutti gli vogliono un gran bene, soprattutto il piccolo Tony, alias Marco Stefanelli figlio del Benito attore spaghetti. Sarà infatti il piccolo, orfano per mano di Coleman il cattivo di turno, a infondere a Uragano West la forza della rivalsa.
Anthony Steffen era l'attore giusto per un ruolo tormentato. Lui, il grande vendicatore per eccellenza dopo il Django di Franco Nero, e prima di inclinarsi al western farsesco di fine carriera, era davvero "il volto della vendetta" come recita un suo film del 1967. E' particolarmente in parte l'attore brasiliano nato a Roma nel 1929 e morto a Rio nel 2004. Una parte che ne potenzia il contrasto interiore, benché veicolato da un viso di pietra come si richiedeva allo SW. Ma Anthony Steffen arriva al film di Ferroni dopo una lunga serie di successi western tra cui spiccano ruoli appunto tragici, sofferti, di pistolero dolente: uno su tutti "Sette Dollari sul Rosso". In "Il Pistolero Segnato da Dio" Steffen, nato Barone de Teffé, porta sulle spalle il peso del film, volutamente nero e oscuro, come un film gotico italiano di quegli anni. Pestaggi e sofferenze, abusi di ogni tipo e quant'altro, sono all'ordine del giorno. A spezzare questa angoscia invasiva ci pensa il circo, portatore sano di allegria. Non solo è un tipico esempio di bizzarria italiana con tutto il campionario di simboli, giochi, iconografie che si porta dietro, ma è anche un'astuta mise en abyme. Infatti, nello stesso anno esce il capolavoro nostalgico di Sergio Leone, "C'era Una Volta il West" con cui si dice abbia posto la parola fine al genere western (ma l'hanno detto anche per il coevo "Il Mucchio Selvaggio" di Peckinpah e per "Gli Spietati" di Eastwood). C'era chi chiaramente non la pensava così, come il sottoscritto che perpetua il western nel proprio universo emotivo. Tra questi anche Ferroni che nella derisione che il pubblico del circo fa di Uragano West decretandone forse la fine definitiva e totale, poteva simboleggiare il pubblico cinematografico che forse avrebbe preso a pesci in faccia i propri miti della frontiera. Così non è accaduto, fortunatamente, anche se è stata la stessa industria cinematografica italiana a involgarire il genere con l'irrefrenabile discesa verso la farsa western. Così Ferroni, spezza l'angoscia del film e cerca un commento autoriale sulla riflessione del genere.
Tra i volti di questa pellicola vanno ricordati sicuramente Benito Stefanelli e Giovanni Cianfriglia alias Ken Wood che è il vero e proprio cattivo del film. E il volto e il fisico ce li ha tutti. Da notare anche il finale con cui sembrava che il film si accartocciasse su di sé sostituendo un'ipotetica sparatoria da antologia con lo sberleffo comico dell'arrivo del circo. A parte che potremmo vederci in questo un ribaltamento dell'istituzione militare della cavalleria deformata in circo ambulante con pagliacci, uomini forzuti, indiani della domenica e un Nello Pazzafini, storico bandito, qui costretto nella calzamaglia del direttore del circo. Ma a parte questo, l'intervento salvifico del circo accentua il contrasto tra un West duro e puro come tutti lo vorremmo, e quello farsesco che forse da lì a breve sarebbe arrivato prepotentemente. Ma per fortuna il film si rialza di colpo con un bellissimo duelo finale dove Anthony Steffen da tutto sé stesso come uomo umiliato e carico di rabbia repressa.

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