Regia di José Padilha vedi scheda film
Altro remake tutt’altro che necessario che affolla ultimamente la stiva delle case di produzione di grosso calibro e budget: quelle majors hollywoodiane in questi anni in evidente carenza di idee, ma desiderose di guadagni facili o quantomeno piu' facili e a rischi calcolati. Questo Robocop ha forse almeno il merito innanzi tutto (sperando che si tratti di un merito e non si traduca in una meteora di luce scintillante ma effimera) di traghettare nel mondo dorato della mecca cinematografica un talentuoso regista che dagli esordi ha sempre dimostrato di sentirsi molto a suo agio con l’action: i suoi due apprezzati (e premiati, almeno il primo) Tropa de Elite lo hanno segnalato come “prodotto facilmente esportabile”; e come tale eccolo tenace e sicuro a dirigere questo blockbuster roboante e chiassoso come è lecito aspettarsi, se un po’ si conosce il tormentato e sfortunato personaggio di metallo chiamato a nuova vita dai miracoli del progresso (e del calcolo economico). Il bello, o comunque l’aspetto più interessante di questo remake è che, rispetto al primo di Verhoeven (sempre che ricordi bene, dato che non ho più avuto tempo e modo di rivederlo, e comunque senza nulla togliere alla superiorità dell'originale del gran regista olandese) e ancor più rispetto ai suoi sciapi sequels (ma il secondo era diretto dal pur bravo Irwin Kershner, ottimo action director de L’Impero colpisce ancora e del Bond apocrifo stupendo Mai dire mai), la storia qui non si concentra solo sul dramma personale e familiare del poliziotto smembrato in seguito ad un attentato ordito da una orda di gangster molto bene organizzata. L’aspetto interessante è il problema etico che viene sollevato circa la liceità di utilizzare, in un futuro molto vicino, macchine intelligenti ed efficienti per la cura inflessibile ed organizzata del crimine: arrivando a paradossi non difficili da immaginare, come quello dell’impiego di tali droni sofisticati ma senza anima, nelle missioni in Medio Oriente, contro il divieto assoluto di applicazione degli stessi "strumenti" letali, inflessibili e spaventosamente risolutivi, negli Usa. Ecco dunque che l’impianto di ciò che resta di corporeo del poliziotto tosto ed integerrimo, nella macchina disumana ed inflessibile, costituisce il meraviglioso compromesso per aumentare la diffusione del prodotto (costruito in Cina, guarda un po’) anche in patria. E il film, tra inseguimenti e sparatorie certo di routine, si giostra anche sulla gradazione di sentimento ed umanità da attribuire (o togliere) alla mente umana per non svilire le capacità risolutorie impeccabili della macchina. Un bel dilemma, tirato in ballo anche da un conduttore spregevole magistralmente reso da un Samuel L. Jackson luciferino che assomiglia, per similare repulsione, a molti colleghi reali, supponenti e caricaturali, delle nostre televisioni nostrane. Insomma un filmaccio d’accordo, ma con un pizzico di cervello pensante che lo distanzia e differenzia da molta altra robaccia ipertecnologica e a grande budget.
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