Regia di Steven Bernstein vedi scheda film
In questo senso "Annie Parker", diretto dallo sconosciuto Steven Bernestein, è paradigmatico nel ricalcare per filo e per segno un canovaccio che, dopo il contraccolpo della terriibile scoperta, vede la protagonista affrontare il calvario di una risalita dolorosa e solitaria, in un'alternanza di speranza e delusione fatto apposta per sottolineare lo spirito indomito della donna, determinata a capire le ragioni di un destino che la unisce alla madre e alla sorella, già morte per il medesimo motivo. Accanto a lei ma impegnata sul fronte della ricerca la dottoressa Marie Claire King condizionata dalla mancanza dei fondi necessari a portare avanti lasua battaglia.
Trattandosi di personaggi realmente esistiti ma adattati per lo schermo da sceneggiatori hollywoodiani (uno di questi è lo stesso regista) Annie e Marie risentono di quelle tipizzazioni che vanno a nozze con i personaggi esemplari, privi cioè di quelle linee d'ombra che di solito appartengono alla vita ma che al cinema deprimono e spaventano Ad essere esaltate sono così le doti di perseveranza delle due donne e la loro ostinata fede nelle rispettive possibilità, così come la misericordia di un paesaggio umano votato al sostegno incondizionato delle nostre beniamine. La santificazione è dietro l'angolo ma ad impedirlo ci pensano le intepretazioni di Samanta Morton e Helen Hunt (dopo The Sessions in un altra parte "terapeutica"), brave nell'evitare i tranelli di ruoli che spingono l'acceleratore del pathos e dell'empatia. Nel dare vita ai fantasmi delle rispettive solitudini - Annie per via di un marito troppo fragile che non riesce più ad accettarla, Marie a causa dello scetticismo di chi potrebbe finanziargli le ricerche- si affidano ad una recitazione che non concede nulla di più di quanto necessario. A dar loro manforte, Aaron Paul, in un ruolo da "maledetto" che si allinea a quelli con cui abbiamo imparato a conoscerlo.
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