Nell'estate dell'87, quando nei cinema campeggiano piu' che mai le locandine dei film cloni della moda lanciata da quell'E.T. che divenne leggenda (in questo caso vediamo il manifesto dell'onesto D.A.R.Y.L.), la vita un po' triste e malinconica di Adele, madre di una tranquilla cittadina di provincia lasciata dal marito perche' divenuta sterile anzitempo, e quella del suo unico giovane e sensibile figlio Henry, viene scossa dall'intromissione, nella loro grande e vecchia casa, di un evaso corpulento ed ombroso, Frank Chambers, che si intromette nelle loro vite chiedendo aiuto e manifestando a poco a poco la sua vera situazione di fuggiasco braccato e circondato. Anziche' degenerare, i rapporti tra il nuovo microcosmo che viene forzatamente a crearsi, spiana nella vita incerta e malinconica di Adele, la via per poter sperare in una nuova e più motivata vita, magari in Canada, con un uomo che sappia finalmente accettarla per quello che e', e per tutta la dolcezza che la donna puo' ancora riservare ad un uomo.
Jason Reitman lascia per il momento i territori sapidi ed ironici della commedia scaltra e arguta (Thank you for smocking, Young adult) o sofisticata e raffinata (Juno, Tra le nuvole), territorio a lui davvero congeniale, per percorrere i sentieri piu' classici del melodramma, della tragedia che incombe impietosa ed imperterrita sulle anime affrante e devastate da una sorte tetramente accanita ad oscurare la felicita' ed il benessere.
La lotta di tre anime sconvolte dalla sfortuna e dalla malasorte, come Bonnie & Clyde innocenti e braccati dalla sventura, trova almeno il bagliore di un progetto di fuga che possa assicurare una nuova vita e nuovi orizzonti, lontano da una societa' che non vuole capire, ma sa solo catalogare e giudicare.
A "Labor day", questo il suo titolo originale, manca inevitabilmente quel respiro e quella aria fresca di novita' e leggerezza che qui inevitabilmente devono lasciare spazio agli sviluppi soffocanti e tetri di un melodramma senza soluzione di scampo. Tanto di cappello a cambiare registro, ci mancherebbe, ma questo tipo di cinema, piu' austero e didascalico, poco ha a che fare col mondo sofisticato, cinico e sarcastico che tanto ci aveva convinto nelle opere precedenti.
Da segnalare tuttavia, tra i meriti della pellicola, una buona prestazione per una remissiva e drammtica Kate Winslet, dolce e tentennante come un animale ferito che resiste e non si arrende alle intemperie della vita; ma e' il piccolo Gattlin Griffith il personaggio piu' riuscito e completo, maturo mediatore tra vincitori e vinti, tra due genitori che non riescono a volersi male, tra una madre ferita nell'anima e uno straniero rude e tenebroo che potrebbe costituire per lei e per tutti la svolta da un grigiore ed una catalogazione senza futuro.
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