Regia di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza vedi scheda film
L'inizio è qualcosa che non t'aspetti. Davanti a noi un killer fa strage di uomini con assoluta freddezza e feroce determinazione. Alcuni sono vittime inconsapevoli di un piano stabilito, altre la sfortunata conseguenza del tentativo di impedirlo. Tutto avviene in maniera repentina, inseguimenti, sparatorie, uccisioni a sangue freddo. Da togliere il fiato ma senza levare gli occhi dallo schermo. E sono proprio gli occhi dell'uomo che sta compiendo la sua missione, e successivamente quelli della ragazza che incontrerà nel corso dell'azione, a costituire il segno dominante di questa prima, lunga sequenza. Perchè "Salvo" il film d'esordio di Fabio Grassadonia ed Antonio Piazza collegandosi ad una resa dei conti di stampo mafioso, con il protagonista a funzionare come arma contundente utilizzata dal boss del quartiere per leggittimare il suo potere, è certamente un film di genere, soprattutto nell'estetica di una violenza tutta giocata sul ritmo, la tensione ed anche una buona dose di spettacolarità. Ma in questo caso tutto questo non basta ad esaurire i significati di quell'inizio che getta le basi di un anomalia che rende "Salvo" diverso dagli omologhi film a sfondo mafioso. Esiste infatti un'altro piano di lettura che si innesta nella storia senza distrarla dall'obiettivo di raccontare la dimensione di un mondo atavico ed ancestrale, regolato da formule e strutture arcaiche, continuamente ribadite dalla presenza della gerarchia mafiosa, ed è il sottotraccia che coincide con lo sguardo di Salvo e Rita. Lui ha una vista da sparviero, lei è cieca. Lui si affida a quella per tenere sotto controllo gli uomini, lei forse l'adopera per proteggersi da loro. Durante la convulsa azione che apre il film la telecamera di Piazza e Grassadonia intercetta quello di Salvo ad intermittenza, ma in modo costante, come a stabilire un legame inscindibile tra la capacità di vedere e la superiorità sugli avversari. Poi in maniera paradossale tutto viene rovesciato, con Rita e la sua condizione di non vedente a scrivere le regole. Ancora una volta è la vista, seppur nella sua mancanza, a farla da padrone. Un primato stabilito dalle immagini prima ancora che dalla storia, con le morti sparate in "primo piano" quando la vicenda è collocata nella terra di nessuno di un paesaggio siciliano modello far west di cui Salvo, angelo sterminatore al soldo di Satana è il protagonista assoluto, e successivamente rese invisibili e lasciate "fuori campo", quando Rita entra in scena portando con se l'impossibilità tutta fisica di osservare quanto accade. Piazza e Grassadonia inquadrano l'intrusione di Salvo nello spazio esistenziale di Rita su più livelli: quello esclusivamente narrativo che porterà all'incontro/scontro tra due realtà antitetiche, eppure destinate a compenetrarsi fino al punto di scambiarsi i ruoli, con Salvo a farsi carico del dolore e della sofferenza di Rita, dapprima liberata dal giogo della malattia, e poi, con un drammatico escalation, sottratta alla condanna inflittale da chi vorrebbe farle pagare il tradimento del fratello che Salvo ha ucciso di fronte a lei dopo essere entrato furtivamente nella loro casa. Quello metacinematografico, con Salvo, occhio che guarda senza essere visto - in un primo momento vediamo Salvo non rivelarsi a Rita ma seguirla silente nei suoi spostamenti nei vari ambienti della casa- ad impersonare il progressivo scivolamento dello spettatore all'interno della storia e della cornice filmica, coinvolto in prima persona con i fatti ed i personaggi attraverso un transfert che il film fa coincide con l'empatia di Salvo, talmente immedesimato dalla visione di quella sfortunata ragazza da risparmiarle la vita, mettendola al sicuro da chi la vuole morta. E ancora mentre "Salvo" da una parte racconterà gli sviluppi di questa scelta, con il boss che ad un certo punto scoprirà il segreto ed intimerà al killer di completare il lavoro con l'uccisione della ragazza, il film di Piazza e Grassadonia continua il suo detour mettendo in scena il miracolo della guarigione di Rita ad opera di Salvo, a quel punto chiamato dalla storia ad un cammino di sacrificio e di martirio che sull'esempio del Cristo percorre le tappe di un calvario rappresentato con immagini che prendono in prestito l'iconografia sacra; valga per tutti quella che ritrae il corpo del protagonista adagiato su un divano con il braccio allungato e pendente alla maniera della pietà michelangiolesca, oppure ripercorrendo con progressione paradigmatica i passaggi più importanti, l'imposizione delle mani che fa tornare la vista alla ragazza, e poi cena condivisa e consumata dai due fuggiaschi mentre fuori ad aspettarli ci sono gli sgherri, e con loro la prospettiva di un convito che alla pari di quello pasquale potrebbe essere anche l'ultimo. Grassadonia e Piazza con l'aiuto di un grande Daniele Ciprì, autore di una fotografia contrastata e densa di richiami, cinematografici e non - il western soprattutto, ma anche pittorici e caravaggeschi, per la qualità della luce che illumina i corpi, e quello di Salvo in particolare, in maniera estetizzante e sensuale - lavorano sulle forme del genere, qui utilizzate per mettere in risalto le contraddizioni delle proprie radici culturali. In questo modo la predominanza maschile messa in mostra dal film attraverso le imprese di Salvo e dei suoi compagni ha come contraltare il sodalizio matrimoniale che si prende cura di Salvo, e che, nella schiacciante supremazia della moglie/madre nei confronti del consorte/figlio (Luigi Lo Cascio), ma anche nella fascinazione di quest'ultimo nei riguardi di Salvo, sembra quasi volerci dire che la violenza maschile altro non è che la frustrazione per l'onnipotenza dell'essenza femminile. Ragguardevole ed inusuale per il nostro cinema è anche l'utilizzo del paesaggio e degli ambienti, ripresi soprattutto in interni e concentrati nello spazio chiuso di un edificio industriale abbandonato (come peraltro accadeva ne "L'intervallo" dell'esordiente Di Costanzo). Lungi dall'essere semplice accessorio, lo sfondo in cui si muovono i personaggi diventa parte integrante di una dialettica capace di approfondire i vari passaggi della storia: basti pensare all'inquadratura finale, con la linea del mare inquadrata a stento dalla telecamera posizionata dietro ai due protagonisti, seduti in attesa di fronte a quella vista. Il panorama spezzato ed in parte coperto dalle linee dei muri si sostituisce ai volti di Salvo e Rita, diventando l'espressione della precarietà di quellunione. E se anche "Salvo" nella seconda parte non è in grado di tenere testa alla potenza della sequenze d'apertura, il risultato finale è comunque positivo e da annettere a quel tipo di esordi che lasciano intravedere un futuro fatto di buon cinema . "Salvo" ha vinto la Semaine de la Critique all'ultima edizione del festival di Cannes. Unico film italiano quest'anno a portarsi via un premio dalla prestigiosa rassegna. (ondacinema.it)
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