Regia di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza vedi scheda film
Gli esordienti Piazza e Grassadonia vengono premiati con merito a Cannes e di conseguenza ricevono anche nella loro patria un po’ di attenzione… Salvo è un esempio efficace e creativo di come si possa rappresentare uno spaccato della nostra realtà, nel caso specifico l’ambiente legato alla delinquenza mafiosa a Palermo, mescolando codici, generi e linguaggi senza perdere il filo del discorso, ma anche senza offrire allo spettatore facili prese di identificazione negli stereotipi e nei clichè. Salvo è uno spietato killer da cui traspare più il dovere inevitabile di fare il proprio mestiere che la crudele adesione al mondo del male dai confini sempre più ampi. Gli autori hanno preso come modello di riferimento il Delon di Le samourai, per circoscrivere un personaggio comunque perdente e senza futuro. Durante una delle sue esecuzioni entra in contatto con Rita, sorella cieca della sua vittima, fra di loro avverrà qualcosa di miracoloso. Niente a che fare con il cosiddetto realismo magico però, la verosimiglianza è totale, l’adesione a contenuti terreni e umani ha l’odore del sangue e uno strato di polvere e fango sulla pelle. Entrambi i protagonisti sono destinati ad aprire gli occhi, ed a mostrarsi l’uno di fronte all’altro. Mentre per Rita comincia un percorso elementare di consapevolezza nei confronti di ciò che la circonda e le appare per la prima volta, per Salvo si tratta di redenzione e di pacificazione dello sguardo. Si tratta di un processo di alfabetizzazione morale che necessita di tempi lunghi ed esasperati, la quasi assenza di dialoghi sottolinea l’esigenza dei due di studiarsi, di annusarsi anche fisicamente, prima di esprimersi con parole di cui non possono dominare i significati devianti dal delirante quotidiano. Più volte Rita domanderà “Cosa vuoi da me?” La risposta di Salvo non ha parole, perché non può nutrire un futuro, in una delle tante immagini forti del film costringe la ragazza a guardare il riflesso di tutti e due nello specchio, come una rivelazione, un’ammissione di colpa e di verità. In un interessante incontro di fronte al pubblico i due registi palermitani hanno sgombrato ogni dubbio sulla fiducia e sulla speranza che l’impegno civile, democratico e politico lavori per produrre dei cambiamenti radicali nel tessuto sociale e che lo riversino metaforicamente nel film: Piazza e Grassadonia completamente disillusi e pessimisti poggiano il loro punto di vista esclusivamente sul singolo individuo, sul suo semplice desiderio di riscatto e di fuga dal proprio destino scritto a carattere cubitali. Ottima la fotografia di D.Ciprì e la scelta di location vicine al western, attori credibili e calati alla perfezione nei ruoli, (l’esordiente attrice Sara Serraiocco nei panni di Rita, ha recitato con delle lenti oscurate sulle pupille che la rendevano di fatto non vedente). Nel panorama nazionale Salvo apre uno spiraglio di luce (nonostante qualche incoerenza narrativa e un finale un po’ troppo prolungato) insieme a qualche altro, A Segre, Di Costanzo per esempio, dimostrano che anche un altro modo di fare cinema è possibile e che contiene una sua….bellezza (?).
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