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Salvo

Regia di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza vedi scheda film

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La recensione su Salvo

di maghella
10 stelle

Salvo Mancuso (Saleh Bakri) è un Killer al servizio di un boss mafioso. Durante un tragitto in macchina riesce a sventare un agguato, uccide i sicari, mette in sicurezza il capo, riesce a farsi dire chi è il mandante.

L'azione và conclusa uccidendo il traditore. Salvo si introduce nella casa del mandante, dentro vi trova la sorella Rita (Sara Serraiocco), cieca dalla nascita, che ascolta la canzone dei Modà con Emma “Arriverà”.

Ascolta la canzone più volte, Salvo la osserva, osserva la casa dove la ragazza abita con il fratello, osserva le movenze di Rita che solo in un secondo momento percepisce la sua presenza. Arriva il fratello, Rita grida, Salvo ha una lotta violenta con il fratello di Rita.

Lo spettatore non vede niente della lotta (proprio come Rita nel film), si odono solo i rumori, le grida e i colpi di pistola.

Salvo è ferito, il traditore morto, Rita viene rapita da Salvo e portata in una fabbrica abbandonata, cimitero del fratello appena ucciso e di molti altri morti della mafia.

 

I primi 30 minuti di questo film scorrono all'insegna della adrenalina, poche parole e molte sensazioni, quasi tattili, olfattive oltre che visive.

E' luglio nel film, fà caldo e Salvo suda, si cambia spesso la maglia nella sua tana da latitante nel retrobottega di una lavanderia, dove i due coniugi proprietari (Luigi Lo Cascio e Giuditta Perreira) si prendono “cura” di lui.

Salvo mangia da solo, vive da solo, non ha casa, non ha amici ma solo complici e un capo, un boss (Mario Pupella), a cui dover dare spiegazioni di ogni movimento, che a sua volta vive in un nascondiglio sottoterra, al buio (“come i sorci viviamo...”). Salvo tiene nascosto a tutti che Rita è sempre viva.

Non è la mafia dei film americani, quella sfarzosa delle feste di matrimonio dei “Padrini” d'oltreoceano. Non è la mafia delle fiction televisive, patinata, unta e fumettona. Non è, però, nemmeno la mafia degli ultimi intellettuali, dei dialetti incomprensibili, dei complotti di Stato. E' una mafia ancora più incomprensibile (se possibile), che vive senza mai poter vedere dalla finestra, che rimane nascosta, sempre al buio, misera e squallida, che fà tristezza, poco “folkloristica”, che vive di gerghi e mosse, di prepotenza spicciola.

 

Salvo rapisce Rita e lui stesso è rapito dalla semplicità della ragazza, che per la paura avuta acquista una parvenza di vista, vede la luce e le ombre del suo carnefice.

Rita è rinchiusa in una prigione, ma anche quando viveva in casa sua non usciva mai, era in prigione anche lì. Salvo vive in una stanza piccola, calda e buia, un nascondiglio che è una prigione. Il boss vive in una prigione volontaria. Tutti vivono in un quartiere prigione, governato da sicari e traditori, dalla paura.

 

Salvo si prende cura di Rita, si prende cura del cane alla catena fuori dalla lavanderia, ascolta la canzone “Arriverà” in macchina, cerca compagnia per mangiare... qualcosa in lui sta cambiando, è già cambiato nel momento che ha scelto di non uccidere Rita.

 

Cosa vuoi da me?” continua a chiedere Rita a Salvo... capirà presto che quello che vuole lui è lo stesso che cerca lei: una vita diversa, fatta di luce, normalità.

La normalità in una terra come quella di Salvo è cosa rara e preziosa, e non c'è amnistia o indulto per uscire da certe prigioni di vita, la pena di morte è l'unica alternativa per una “fine pena mai”.

 

Rita e Salvo si salveranno, alla loro maniera, come gli è possibile, avranno per poche ore quella normalità che avevano sognato per qualche giorno: la vista del mare, un tramonto da condividere su una soglia della veranda.

 

Film bellissimo, primo lungometraggio per i due registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che hanno però le idee chiare di quello che ci vogliono raccontare e di come lo vogliono raccontare. Utilizzano vari codici di lettura: quella classica dei film di genere, con molta azione, ben filmata sin dalle prime immagini, con personaggi subito chiari, senza sfumature (proprio come i film polizieschi o western degli anni '70 italiani). Nello stesso tempo indugiano sulle scene di violenza (potevano esagerare, forse sarebbero stati anche più apprezzati da un pubblico più giovane per questo), anzi scelgono di “non vedere” (proprio come la protagonista Rita), rendendoci così partecipi di un malessere e di un disagio sociale non solo siciliano, ma tutto italiano quello dell'omertà, quello dell'assuefazione ad una certa condizione malavitosa, quasi un concepire uno stato di fatto: la mafia esiste ma non la vedo più.

 

La storia di per sè non ha nulla di originale: il carnefice che si innamora della vittima, ma è la scelta di come raccontare il tutto che è davvero originale.

Nessuna scena di sesso eppure molta sensualità nella cura dei particolari, nei gesti, nel come la macchina da presa si sofferma sui corpi feriti dalle ferite e dalla vita stessa.

Non mancano punte di ironia con la coppia che si prende cura di Salvo nella lavanderia: il loro servilismo misto a paura è a tratti buffo a tratti inquietante.

 

Ottima la fotografia del grande Daniele Ciprì, che davvero in questo film ha dato tantissimo, mostrando non solo luce e ombre di una Sicilia terribile e nascosta, ma evidenziando anche ciò che non si può vedere: il caldo, i rumori, la solitudine.

 

Bravissimo Mario Pupella nella parte del boss, assomiglia tantissimo a Klaus Kinski.

 

Una scena che mi ha colpito moltissimo: un posto di blocco della polizia, Salvo è in macchina bloccato non può tornare indietro, suona con il clacson, un gruppo di ragazzi gli fà cenno di aver inteso. Uno di loro parte con il motorino, la macchina da presa non segue più la scena che, capiamo dai rumori , sta accadendo davanti alla macchina di Salvo. Salvo osserva, scende dalla macchina e fugge, un suo complice prende il suo posto in macchina. In pochi attimi la macchina da presa inquadra diverse scene senza cambiare mai posizione, proprio come un passante che osserva impotente ma che comprende cosa stia succedendo.

Questo film ci fà scendere sulla strada di Palermo e ci rende testimoni, non possiamo far finta di non aver visto nulla.

 

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